La nanotecnologia può offrire idee per lo sviluppo di antivirali alternativi a quelli classici, utili nella lotta contro l'attuale (e le future) pandemia.
Image credit: Nature Nanotechnology |
A riprova dell’interesse sul tema, oltre ad articoli tematici sulle principali riviste scientifiche, l’ingente flusso di investimenti (3 milardi di dollari nei soli USA) che si riversa su gruppi di ricerca e start up impegnate nello sviluppo di nanomateriali.
Rispetto alle piccole molecole che costituiscono il principio attivo degli antivirali classici o agli anticorpi che inibiscono la replicazione o l'ingresso del virus nella cellula, la nanotecnologia offre molte più possibilità "creative" a chi progetta antivirali che possono agire da soli o in sinergia con i trattamenti classici.
Ad onor del vero i nanomateriali sono già tra noi in questa pandemia.
I vaccini a RNA devono la loro stessa esistenza alla disponibilità di nanoparticelle lipidiche adatte al trasporto del mRNA alle cellule, stabili a sufficienza da raggiungere il bersaglio e privi di sostanziale tossicità rispetto ai cationi lipidici loro antenati. Un decennio di ricerche culminato con l’accelerazione durante il primo semestre pandemico.
La funzione di cargo non si limita però al trasporto di acidi nucleici; le nanoparticelle sono promettenti anche per il trasporto di piccole (farmaci classici) e grosse (proteine tipo Spike con cui indurre l’immunizzazione) molecole.
Il prossimo passo dei nanomateriali è passare da mere funzioni di trasporto a terapeutici (azione diretta sui virus).
Uno degli aspetti più interessanti dei nanomateriali è l’essere meno vincolati, rispetto ai farmaci classici, ad un particolare tipo di virus bersaglio (con il rischio intrinseco di perdere di efficacia alla comparsa di varianti). Un antivirale basato su nanomateriali potrebbe agire sulle proprietà chimico-fisiche comuni a molti tipi di virus e come tale essere resiliente a virus mutanti.
Tra i test condotti la dimostrazione che nanostrutture basate sul DNA erano capaci di intrappolare virus, agire come esche o distruggere la membrana virale, rendendo la particella risultante incapace di fondersi con la cellula anche dopo che si è agganciata al recettore.
Punto interessante è che tali nanostrutture possono essere prodotte in modo semplice, economico e rimodulabile al cambiare del bersaglio.
Tra le aziende impegnate abbiamo Cellics Therapeutics (spin off della UCSD) che lavora a qualcosa definibile come una “nanospugna”.
Image credit: Qiangzhe Zhang et al (2020) Nano Lett. |
Partendo da cellule umane a cui viene rimosso tutto il contenuto lasciando intatto il suo involucro membranoso, si procede alla sua frammentazione così da ottenere migliaia di minuscole vescicole di diametro intorno ai 100 nanometri. Alle vescicole vengono aggiunte nanoparticelle di un polimero biocompatibile e biodegradabile fatto di PLGA (acido poli(lattico-co-glicolico)) con il risultato che ciascuna nanoparticella appare rivestita da una membrana cellulare “umana”. Il prodotto è un’esca perfetta che impedisce (catturandolo) al virus di interagire con le cellule vere.
L’approccio è ugualmente utilizzabile (previo utilizzo di membrane derivate da eritrociti) contro batteri problematici, a causa della loro resistenza agli antibiotici, come lo Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA).
Altra osservazione degna di nota è che una nanospugna cellulare rivestita di membrane derivate da cellule epiteliali polmonari di tipo II o da macrofagi umani (utili per la presenza di ACE2 e CD147) era in grado di intrappolare il SARS-CoV-2 nei test in colture cellulari. Da un punto di vista della sicurezza, test effettuati sui topi non hanno rilevato tossicità.
Starpharma lavora a polimeri sintetici a struttura ramificata (dendrimeri), grandi circa 3 nanometri. La superficie esterna di ciascun dendrimero è ricoperta da molecole simili ai proteoglicani dell'eparan solfato (presenti sulle membrane delle cellule) che molti virus usano come punto di aggancio aggiuntivo per stabilizzare il contatto. Tra i prodotti in fase di sviluppo uno spray nasale (Viraleze), utilizzabile prima o dopo la presunta esposizione al SARS-CoV-2, rivelatosi in grado di ridurre del 99% la carica virale nel sangue, polmoni e trachea degli animali trattati. Tra i suoi punti di forza il non essere assorbito dalle mucose, minimizzando così ogni rischio di effetti collaterali significativi (saranno i test clinici a dirci se negli umani c’è rischio di qualche reazione allergica).
Screenshot dal sito dell'azienda produttrice (Starpharma) |
Ricercatori tedeschi dell'università di Berlino si sono invece concentrati sullo sviluppo di nanomateriali modellati con precisione per intrappolare i virus. Il tutto grazie a nanoparticelle ricoperte di silice appuntita, alte 5-10 nm, in grado di insinuarsi tra le glicoproteine di superficie di un virus; le punte possono essere decorate con derivati dell'acido sialico per facilitare il legame oppure direttamente con antivirali tipo lo zanamivir (usato contro il virus dell'influenza A) così da portare la molecola attiva direttamente a destinazione. Esperimenti in vitro hanno dimostrato che le particelle prevengono l'infezione delle cellule con il virus dell'influenza A e questo ha spinto i ricercatori a progettarne una versione adatta al SARS-CoV-2 su cui sono in corso test su animali.
Chuanxiong Nie et al (2020) Nano Lett. |
Altre molecole interessanti sono gli “scheletri” stellati basati sul DNA sviluppati all’università dell’Illinois. Il loro vantaggio è che sono una sorta di esche multi braccia, su ciascuna delle quali si trovano aptameri a DNA in grado di legarsi al virus (test in vitro fatti sul virus Dengue) in più punti. Le dimensioni della “stella a DNA” e la sua carica negativa sono sufficienti ad impedire il distacco del virus, rimuovendolo così dal circolo.
Image credit: Xing Wan via news.illinois.edu |
Una nostra vecchia conoscenza (ne avevo scritto anni fa per tutt’altro scopo) sono i DNA origami su cui ricercatori tedeschi della TUM hanno lavorato per creare "gusci di DNA" abbastanza grandi da inghiottire un intero virus (mi piace pensarli come fossero dei pac-man vaganti).
Credit: Elena-Marie Willner / Dietz Lab / TUM |
L'interno dei gusci icosaedrici autoassemblanti può essere rivestito con leganti, come gli anticorpi, per trattenere i virus intrappolati. I ricercatori hanno progettato strutture di DNA triangolari che si assemblano in gusci di varie forme e dimensioni, da 90 a 300 nm di larghezza, più che sufficiente per gran parte dei virus (se fossimo amebe avremmo qualche problema con alcuni loro virus giganti). Modificando la sequenza del DNA dei “mattoni” triangolari, è possibile creare “porte” delle dimensioni di un virus in un lato del guscio, sufficiente a permetterne senza ritorno.
Esperimenti in vitro hanno dimostrato la capacità di questi “pacman” di inglobare virus come l'AAV.
Come anticipato in apertura di articolo alcuni nanomateriali vanno oltre il semplice legame ai virus, essendo capaci di distruggere la membrana virale
(Dove presente. Non tutti i virus hanno il capside proteico rivestito da una membrana, originata dalla cellule da cui sono stati emessi, o la necessitano).
L'azienda americana NanoViricides persegue questo obiettivo mediante tensioattivi polimerici solubili che formano micelle sferiche. Queste strutture nanoviricide sono decorate con un migliaio di ligandi peptidici che legano le glicoproteine virali permettendo così alle micelle di fondersi con (e distruggerla) la membrana virale. Sebbene focalizzata sul trattamento dell'Herpes Zooster l'azienda ha riposizionato la sua R&D per il covid19.
Immagine tratta da una presentazione di una decina di anni fa utile per rendere l'idea dell'approccio (credit: Boston University) |
Approccio un poco diverso quello seguito da un team di una università coreana (BICS).
Image credit: Bo Kyeong Yoon et al, (2021) ACS Nano |
Qui si utilizzano peptidi antivirali che una volta in posizione sul virus si autoassemblano creando pori (qualcosa di simile a quanto fa il sistema del complemento una volta attivato). In passato tale metodo è stato usato contro il virus Zika.
L'utilizzo dei nanomateriali è ancora prematuro specie nell'utilizzo sistemico. Tra gli studi che dovranno essere condotti nell'immediato futuro l'analisi degli effetti di un eventuale bioaccumulo delle nanoparticelle in circolo al netto della biodegradazione (in fondo è lo stesso problema che si ha con farmaci e vitamine liposolubili che, dopo trattamenti prolungati, si accumulano a livelli pericolosi nel tessuto adiposo).
Nota. Le fonti bibliografiche principali sono, come al solito, associate al testo mediante hyperlink.
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