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Plantoidi. Robot-piante con un "cervello" italiano

Nell'istante in cui mi sono imbattuto nel libro, visti titolo e copertina, ho pensato che fosse un nuovo libro di Stefano Mancuso o magari di Daniel Chamovitz, due ricercatori con l'ugual merito di scrivere saggistica di biologia vegetale divulgativa, seppure in ambiti diversi. 
Errore!
Il libro è di Barbara Mazzolai, direttrice del Centro di Micro-BioRobotica del IIT, ed è stata una piacevole (che nel mio caso fa rima con interessante) lettura sul tema robotica e botanica.
In effetti la mia iniziale sorpresa nell'associare robotica e piante, è solo frutto della abitudine a visualizzare robot dotati di sembianze "animali" (vedi l'articolo sulle --> robo-api), se non propriamente antropomorfi. Ma questo "limite" non ha alcuna ragione reale. Un robot ha (e deve avere) l'aspetto che meglio si adatta allo scopo per cui è stato progettato: serpentiforme se deve muoversi in ambiti ristretti come le macerie di un terremoto; microscopico per futuristici usi terapeutici; antropomorfo se pensato per interagire con umani; oppure di pesce, di insetti e perché no di pianta se deve svolgere compiti sessili.
Possibilità, quest'ultima, esplorata dal team della Mazzolai, che dopo un lavoro pluriennale sui robot "animaloidi" ha cominciato ad interessarsi a quelli plantoidi, su cui il libro è centrato.

Plantoide quindi come sinonimo di robot capace di "sentire" l'ambiente, penetrare il terreno con le proprie radici e di comunicare. Se tutte queste caratteristiche sono già presenti in altri modelli, quello che differenzia nettamente i plantoidi è che sono i primi, a mia conoscenza, che mutano con il tempo essendo capaci di accrescimento. 
L'imitazione della natura è da sempre una guida dell'innovazione umana. Senza bisogno di tornare al tempo di Leonardo, pensiamo al TAV giapponese che si ispira al becco del martin pescatore, ad alcuni famosi adesivi la cui funzionalità viene direttamente dalla soluzione evolutiva adottata dal geco per rimanere adeso alle superfici più varie, e infine i paracadute nati dall'osservazione di come si diffondono i semi di alcune piante.
Come descrivere un plantoide?
E' un robot soffice e plastico, costituito da una parte centrale (il tronco), dove sono alloggiati i circuiti, e parti periferiche (i rami) da cui penzolano foglie artificiali. Ma sono le radici la parte più interessante, in quanto capaci di crescere aggiungendo materiale sintetico stampato in 3D al suo interno e poi posizionato secondo un certo orientamento negli apici, grazie a particolari sensori.
Un "plantoide" (credit: IIT)

Pensare una robo-pianta vuol dire tradurre la tecnologia in prodotti "verdi" secondo un approccio sintetizzabile come "robotica biomimetica".

Nel libro la Mazzolai descrive studi pioneristici centrati sull'implementazione nel robot di capacità tipiche delle piante, che vanno dalla comunicazione chimica ai meccanismi di difesa, con particolare  attenzione agli "organi" più sensibili, le radici. Radici "reinventate" dai ricercatori in modo da potere essere usate nell'esplorazione del suolo per la ricerca di acqua, di nutrienti o come sensore di inquinanti.

Tra le prospettive anche quella di vedere robo-piante capaci di arrampicarsi come un viticcio (--> video) o di funzionare come vere e proprie centraline energetiche, molto più efficienti dei pannelli solari attuali, per convertire l'energia luminosa in energia elettrica.

Evito altre anticipazioni per lasciarvi il piacere della lettura, magari accompagnata da quella dei libri del neurobiologo vegetale Mancuso (Incluso dal New Yorker tra i “world changers”) e di Chamovitz.

Per articoli su temi correlati, clicca sul tag --> "robotica biomimetica"

Fonti
- L'era delle piante robot
National Geographic
- Il primo robot pianta: si arrampica come un viticcio

Il libro è disponibile su Amazon


Due libri per approfondire i sistemi sensoriali delle piante, e quindi il loro potenziale utilizzo come sistemi di rilevazione naturali





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