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Autismo ed esposizione materna al DDT. Il legame c'è ma è solo un tassello del puzzle

L'autismo è una patologia del neurosviluppo, talmente eterogenea da essere oggi catalogata sotto un termine "ombrello" quale Disturbo dello Spettro Autistico (ASD), con il quale si copre la molteplicità di forme in cui può manifestarsi (per approfondimenti --> "Autismo. Una patologia eterogenea").
Una eterogeneità nella presentazione clinica che sottintende sia differenze funzionali (qualitative e/o quantitative) nei distretti cerebrali colpiti che nelle cause sottostanti, siano esse genetiche o ambientali.  Se infatti è vero che esiste un certo grado di familiarità (avere già un figlio autistico si associa a maggiore rischio che anche i successivi ne saranno affetti) gli studi condotti su gemelli omozigoti indicano che la penetranza non è assoluta: se un gemello è autistico il rischio che lo sia anche l'altro (geneticamente identico) è del 59% (e non del 100% come atteso per una penetranza completa) mentre si abbassa al 12,9 % nel caso di gemelli eterozigoti o "semplici" fratelli.

La genetica gioca un ruolo chiave ma mancano geni "univocamente" responsabili della malattia nel senso che il numero di geni potenzialmente coinvolti è alto e anche quelli più frequentemente alterati (ad esempio i geni UBE3A e CHD8) coprono un numero di casi molto ridotto. Il che non deve sorprendere poiché in processi complessi quale il neurosviluppo in generale e ancor di più quando sono coinvolte facoltà superiori come capacità intellettive e socialità, sono molte le cose che possono andare "storte". Se a questo si aggiunge la difficoltà di riprodurre i sintomi "sottili" di disabilità intellettive umane nei modelli animali, diventa chiaro perché il campo di studio sia particolarmente arduo.
Disturbi nella socialità possono in verità essere riprodotti anche in modelli murini, ma le sfumature comportamentali al confine tra normalità e patologia, ben evidenti in molti casi di autistici "leggeri" sarebbero difficilmente osservabili anche usando i primati come modelli animali.
Riassumendo possiamo dire che il consensus attuale è che i principali responsabili della malattia sono i geni e non l'ambiente, con un "peso" a favore dei primi tra il 75 e il 98% (--> Emma Colvert (2015) JAMA Psychiatry).
Il rischio ambientale è quindi basso ma non nullo, un dato rafforzato da uno studio recente che mostra una correlazione tra l'esposizione del feto al DDT e la sintomatologia postnatale riconducibile al ASD.
Nota fondamentale per i non addetti ai lavori. Correlazione non è sinonimo di nesso causale ma indica che i due parametri studiati co-segregano nel campione studiato più spesso di quello che ci si aspetterebbe se fossero eventi indipendenti.
Lo studio, apparso ad agosto sulla rivista American Journal of Psychiatry e risultato di una analisi retrospettiva, ha mostrato come la presenza di DDT nel sangue materno durante la gravidanza si correli ad un maggior rischio che il bambino sia affetto da ASD. Una correlazione scoperta con l'analisi di un elevato numero di campioni di sangue (oltre un milione) raccolti tra il 1987 e il 2005 in Finlandia e successivamente analizzati da un team della Columbia University.

Che il DDT sia una sostanza tossica (ben oltre il suo intento insetticida) è un fatto noto, tanto che è il suo utilizzo è da decenni bandito in agricoltura, almeno nei paesi sviluppati. Il problema è però lungi dall'essere relegato al passato vista la stabilità della sostanza che ne ha facilitato l'accumulo sia nel terreno che in piante e animali. Tossicità "non prevista" che riguarda sia la sua cancerogenicità che effetti deleteri sullo sviluppo cerebrale (quindi particolarmente pericolosa durante lo sviluppo fetale).
Lo studio ha preso in considerazione anche il PCB, un composto ampiamente usato in passato, di cui oggi è nota la tossicità. Da notare che il PCB ha la pericolosa tendenza ad accumularsi nei pesci; un nuovo nemico (oltre all'anisakis, al mercurio e al piombo) da cui si devono guardare i divoratori di Sushi e di pesce in generale.
I precedenti studi, per quanto importanti, avevano un limite critico, cioè l'essere "disegnati" per rilevare correlazioni tra esposizione "teorica" e incidenza della malattia; per dirla in modo semplice la conta del numero di episodi patologici in una popolazione residente in aree "inquinate" rispetto ad un campione che viveva altrove. Nello studio finlandese si è invece analizzata la correlazione tra il livello ematico di certe sostanze durante la gravidanza e il rischio post-natale.
La differenza è sostanziale. Nel primo caso si ha una esposizione "teorica", misurabile solo nel tempo di residenza nella zona inquinata, nel secondo caso la correlazione cercata è tra il livello di inquinanti nel corpo e la patologia.

La notizia buona è che si NON è trovata alcuna correlazione tra i livelli di PCB ematici nelle madri e l'ASD nei figli. La cattiva è che l'incidenza di ASD è maggiore nei bambini le cui madri avevano livelli ematici più alti di DDT.

In estrema sintesi i ricercatori sono partiti dai 1300 casi di autismo rilevati nell'arco temporale indagato; da questi sono stati selezionate 778 coppie madri-figlio confrontandole con 778 coppie di controllo (figli normali), abbinate per luogo e data di nascita, per residenza e sesso dei figli (anche se come noto la frequenza di ASD è nettamente superiore nei maschi). Per ciascuna di queste coppie si sono analizzati i campioni di siero materno conservati in ospedale alla ricerca di DDT, PCB o di loro prodotti di degradazione.
Nel caso del DDT (o meglio dei suoi sottoprodotti) le madri con livelli ematici maggiori - corrispondente al primo quartile - avevano il 32% di probabilità in più rispetto alle donne con bassi livelli di DDT di avere figli malati. Maggiore il livello di DDT e maggiore (circa il doppio) la probabilità che alla diagnosi di ASD si aggiungesse quella di disabilità intellettive.

Due le ipotesi formulate per spiegare il nesso causale. Da una parte il fatto che l'esposizione al DDT si associa notoriamente ad un rischio di parto prematuro e in generale di un minor peso alla nascita del neonato (entrambi fattori di rischio per l'autismo). Dall'altra la capacità del DDT di legarsi ai recettori degli androgeni (gli "interruttori" con cui le cellule rispondono ad ormoni come il testosterone), una capacità di cui il PCB manca, il che spiegherebbe il suo mancato effetto "pro-autistico".
Studi condotti sui roditori hanno dimostrato che alcune sostanze chimiche che si legano ai recettori degli androgeni possono alterare lo sviluppo del cervello fetale. Questo spiegherebbe anche la maggior incidenza di ASD nei maschi.

Rischio aumentato NON vuol dire rischio assoluto. Infatti sebbene i dati indichino l'esistenza di un legame tra autismo e l'esposizione al DDT, il rischio complessivo di avere un bambino malato di ASD è basso anche tra le donne in cui sono stati riscontrati livelli alti di DDT. Rischio basso in senso assoluto ma evidente come rischio aggiuntivo.

L'ipotesi è che il rischio malattia sia una summa di molteplici fattori, in primis di tipo genetico, quindi difficilmente gestibili. Ridurre il rischio inquinanti ambientali (o almeno individuare le future madri a rischio, grazie a semplici analisi del sangue) è più facilmente gestibile e quindi apre nuove speranze sulla strada della prevenzione o della terapia comportamentale precoce (l'unico trattamento oggi di una qualche utilità per il bambino affetto).

Fonti
- Association of Maternal Insecticide Levels With Autism in Offspring From a National Birth Cohort
Brown AS. et al, Am J Psychiatry. 2018 Aug 16

- Autism and DDT: What one million pregnancies can — and can’t — reveal
Nature / news (08/2018)

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