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Un antiasmatico abbassa il rischio Parkinson?

Non è la prima volta (e non sarà l'ultima) che un farmaco ampiamente utilizzato in clinica per una data patologia rivela inattese funzionalità. 
In alcuni casi si va oltre il semplice ampliamento terapeutico con il "ripescaggio" di vecchi farmaci dismessi a causa degli effetti collaterali o soppiantati da nuove e migliori versioni. Anzi a volte è proprio la scoperta di un effetto collaterale inatteso a "scoperchiare" inattese modalità di azione del farmaco che una volta appositamente indirizzate forniscono innovativi ed efficaci trattamenti. L'esempio classico è il Viagra, il cui principio attivo (Sildenafil) fu sviluppato nel 1989 come contrasto all''alta pressione e all'angina. I suoi indesiderati effetti collaterali (che lascio alla vostra immaginazione) resero il farmaco inutilizzabile nelle terapie cardiovascolari ma permisero di lanciare un vero e proprio farmaco blockbuster contro la disfunzione erettile
 (vedi gli articoli precedenti sul tema "nuove indicazioni per vecchi farmaci" --> QUI).
Veniamo così al nuovo caso di farmaco in uso che ha mostrato inattese (e benefiche) potenzialità. 
Il salbutamolo, un farmaco per l'asma agente come agonista del recettore adrenergico β2, ha mostrato, sebbene indirettamente, la capacità di ridurre il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson (PD). Il PD è una patologia neurodegenerativa che distrugge progressivamente le cellule produttrici di dopamina nel cervello, a causa (ma non solo) dell'accumulo nei neuroni di aggregati della proteina α-sinucleina che con il tempo portano alla morte cellulare.

La scoperta, pubblicata sulla rivista Science, è il risultato di uno studio con il quale i ricercatori hanno testato l'azione di 1126 farmaci in uso (per patologie diverse dal PD) su un modello cellulare del Parkinson. L'idea era quella di verificare se qualcuno di questi farmaci avesse la capacità di ridurre l'espressione di α-sinucleina. Tra i farmaci che hanno mostrato una azione in tal senso, quelli più efficaci (in grado di ridurre l'espressione del 35%) erano gli attivatori dei recettori β-adrenergici, come sono ad esempio gli anti-asmatici. Ottenuta la prova iniziale, i ricercatori sono andati a testarne l'efficacia in modelli in vivo, cioè nei neuroni dopaminergici dei topi. Tali principi attivi non solo funzionavano anche nei topi ma erano dipendenti dalla presenza dei recettori beta-adrenergici (test fatto sui topi ingegnerizzati per essere privi di tali recettori), il che è il miglior indizio del nesso di causalità.
In altre parole la riduzione della alfa-sinucleina avviene attraverso l'attivazione dei recettori β-adrenergici, evento che contestualmente proteggeva le cellule dopaminergiche.

Dato che i farmaci attivanti tali recettori, come il salbutamolo, sono in uso da molto tempo in clinica, si aveva a disposizione anche una enorme casistica spalmata su decadi con la quale verificare l'esistenza di un effetto protettivo su coloro che avevano assunto gli anti-asmatici per anni.
L'analisi epidemiologica condotta su 4 milioni di norvegesi che hanno usato il farmaco ha mostrato che l'incidenza del PD era inferiore di un terzo rispetto ai controlli che non hanno mai usato il farmaco. Viceversa, i soggetti che avevano usato il propranololo, un antagonista del recettore β2 indicato nel trattamento della pressione alta, avevano il doppio delle probabilità di sviluppare la malattia neurodegenerativa.
Nota. Uno studio recente ha mostrato come le persone affette da diabete di tipo 2 hanno un rischio aggiuntivo del 32% di sviluppare il PD rispetto alle persone sane (--> UCL/news). Un dato utile per ricordarci come l'esito di malattie complesse come cancro e patologie neurodegenerative sia spesso frutto di molteplici situazioni che sommandosi tra loro, spiegano perché tra le persone senza familiarità per quella malattia alcune si ammalino e altre no.
I dati sono molto importanti ma è bene sottolineare che non si tratta di studi che dimostrano un nesso causale diretto in quanto il farmaco non mira alle cellule dopaminergiche ma in qualche modo ha un effetto a cascata su di esse. Nondimeno la scoperta è importante in quanto delinea il percorso per lo sviluppo di terapie mirate alla riduzione del rischio PD e, ma questo è ancora tutto da capire, se il trattamento sia anche utilizzabile per chi è nelle fasi iniziali della malattia (quando i sintomi compaiono la maggior parte delle cellule dopaminergiche sono già morte e non sono sostituibili quindi è ben difficile ipotizzare una qualsiasi efficacia sulle persone con sintomi oramai evidenti).

Altra cosa da fare sarà verificare se la correlazione tra uso di farmaci attivanti il recettore β-adrenergico e la diminuzione rischio PD, sussista anche in altre popolazioni oltre a quella norvegese.
Altri esempi di farmaci in uso o dismessi per cui è stata trova una funzione è presente nella tabella in fondo all'articolo seguente -->qui

Fonte
- β2-Adrenoreceptor is a regulator of the α-synuclein gene driving risk of Parkinson's disease.
Mittal S. et al, (2017) Science 357(6354):891-898






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