La plastica ha rivoluzionato la vita di ognuno in noi dal momento in cui è entrata sul mercato alla metà degli anni '50. Pensiamo ai prodotti che ci circondano e immaginiamo di rimuovere quelli contenenti ogni derivato della plastica; rimarrebbe ben poco e ci ritroveremmo oberati da materiali poco maneggevoli come vetro e metalli. Come già avvenuto per altre invenzioni rivoluzionarie, i problemi (o forse è meglio dire gli effetti collaterali) si manifestano solo anni dopo l'entrata in uso di un prodotto, quando quelli che si ritenevano essere dei pregi (ad esempio la resistenza all'usura) si trasformano in difetti, complice l'aumento del volume dei rifiuti e l'assenza di metodi di smaltimento adeguati. Vero che oggi nei paesi occidentali tale consapevolezza si è tramutata nello sviluppo della raccolta differenziata e nel riciclo ma ancora molto rimane da fare se si vuole gestire l'enorme mole di plastiche abbandonate nell'ambiente. Per ogni paese virtuoso - e prodotto riciclato - ce ne sono 10 volte tanti (ad essere ottimisti) che non attuano (perché non sanno, è costoso o non c'è una consapevolezza ecologica) alcun programma di recupero.
Uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology da ricercatori della università di Stanford dimostra che alcuni vermi (la forma larvale di un coleottero) sono in grado di digerire vari tipi di plastica, decomponendola in prodotti facilmente utilizzabili da altri organismi comuni nell'ambiente naturale.
Vermi intenti a "sgranocchiare" del polistirolo (credit: Yu Yang) |
I dati ottenuti in laboratorio parlano da soli: 100 vermi sono in grado di eliminare l'equivalente di una pillola di polistirolo (circa 35 milligrammi) al giorno. La metà del prodotto in massa viene convertito in anidride carbonica (come avviene per ogni tipo di cibo) e il restante viene eliminato entro 24 ore come materiale utilizzabile da altri organismi ambientali. Cosa ancora più importante, questi vermi alimentati con una dieta costante a base di polistirolo si sono mantenuti sani come quelli di controllo e i loro prodotti di scarto sono utili (e sicuri) quando usati in altre colture.
Capire come i batteri ospitati dai vermi riescano a svolgere l'impresa di trasformare un prodotto pensato come non degradabile in "cibo digeribile" è la chiave per lo sviluppo di metodiche per la gestione sicura delle plastiche.
Non è questo il primo studio di successo sul tema. In precedenza si era dimostrato come le larve delle tarme della cera indiane (Plodia interpunctella) ospitassero nel loro apparato digerente microorganismi in grado di digerire il polietilene, il polimero più usato nei sacchetti dei rifiuti. I nuovi dati sono ancora più importanti in quanto si riteneva che il polistirene non fosse biodegradabile.
Il passaggio successivo sarà quello di caratterizzare i microrganismi di questi e altri insetti allo scopo di identificare non solo le specie migliori da usare nei bioreattori ma anche nuovi esemplari in grado di digerire prodotti problematici come polipropilene (utilizzato in molti prodotti, dal tessile alle componenti automobilistiche), microsfere (alla base degli esfolianti) e le bioplastiche (ottenute da biomasse rinnovabili come mais o il biogas).
Senza dimenticare però la sfida più grossa, quella delle plastiche negli oceani; un problema che si sta tramutando da fattore di rischio a minaccia reale per la sopravvivenza dell'ecosistema marino. Una prossima area di ricerca potrebbe vedere la ricerca di un equivalente marino del verme (e dei suoi ospiti) per digerire le materie plastiche presenti nelle acque del globo.
Per saperne di più sulla storia dei polimeri plastici di sintesi consiglio la lettura della pagina (--> QUI) sull'ottimo sito Chimicare.
Fonte
- Biodegradation and Mineralization of Polystyrene by Plastic-Eating Mealworms: Part 1. Chemical and Physical Characterization and Isotopic Tests
Yu Yang et al, Environ. Sci. Technol., 2015, 49 (20), pp 12080–12086
- Evidence of Polyethylene Biodegradation by Bacterial Strains from the Guts of Plastic-Eating Waxworms
Jun Yang et al, Environ. Sci. Technol., 2014, 48 (23), pp 13776–13784
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