Introduzione
La rete neurale che assicura lo scambio di informazioni tra le diverse aree del cervello in un soggetto sveglio (una sorta di brusio di sottofondo) potrebbe contenere l'informazione necessaria a predire la sensibilità individuale ad un dato anestetico, facilitando così il lavoro dell'anestesista.
Non è un mistero che sebbene la procedura anestetizzante sia molto più affidabile rispetto a quelli di soli 20 anni fa (i cui fastidiosi effetti post-operatori erano evidenti anche dopo interventi banali come la tonsillectomia) esiste sempre un certo grado di eterogeneità tra gli individui riguardo al dosaggio ottimale. Non parlo qui del rischio implicito dell'anestesia (spesso dovuto a problemi vascolari "nascosti" all'indagine preliminare), sempre presente anche se a livelli accettabili in termini di rapporto rischio-beneficio, ma dell'efficacia del trattamento: ogni medico anestesista potrà raccontare casi di pazienti che si risvegliano parzialmente durante l'operazione per essere poi rimessi "a nanna" senza che ricordino nulla di quanto avvenuto (stato vigile, coscienza e sedazione sensoriale del dolore agiscono su binari diversi).
Attualmente, il calcolo della dose ottimale di anestetico viene fatta seguendo il cosiddetto "modello Marsh", che utilizza diversi parametri tra cui il peso corporeo. Nel momento in cui l'anestetico inizia ad agire, lo stato di coscienza del paziente viene monitorato e la dose aggiustata, prima che il chirurgo possa iniziare in tutta sicurezza il suo lavoro.
Molte sono le variabili da considerare, tra cui il profilo metabolico, a sua volta diretta conseguenza del profilo genetico. I soggetti con alleli definiti "ipermetabolizzatori" eliminano più velocemente l'anestetico in circolo imponendo all'anestesista di rinforzare la dose ad intervalli prefissati. Altri individui sono invece portatori di polimorfismi nei recettori dell'anestetico con conseguente ipersensibilità (in alcuni) o la resistenza (in altri) al trattamento. Grazie ai risultati resi possibili dal Progetto Genoma, oggi è possibile analizzare "l'impronta digitale genetica" di ogni paziente, e quindi determinare la dose ottimale di un farmaco, ben prima che entri in sala operatoria.
Siamo tuttavia lontani da una comprensione completa e non è sempre facile rilevare l'affioramento di uno stato di consapevolezza di un soggetto apparentemente sedato.
Trovare un modo per correlare in modo incontrovertibile l'attività cerebrale allo stato di coscienza permetterebbe di monitorare l'eventuale uscita parziale - e oggi non rilevabile - dallo stato di sedazione, permettendo all'anestesista di intervenire per tempo.
La rete neurale che assicura lo scambio di informazioni tra le diverse aree del cervello in un soggetto sveglio (una sorta di brusio di sottofondo) potrebbe contenere l'informazione necessaria a predire la sensibilità individuale ad un dato anestetico, facilitando così il lavoro dell'anestesista.
Non è un mistero che sebbene la procedura anestetizzante sia molto più affidabile rispetto a quelli di soli 20 anni fa (i cui fastidiosi effetti post-operatori erano evidenti anche dopo interventi banali come la tonsillectomia) esiste sempre un certo grado di eterogeneità tra gli individui riguardo al dosaggio ottimale. Non parlo qui del rischio implicito dell'anestesia (spesso dovuto a problemi vascolari "nascosti" all'indagine preliminare), sempre presente anche se a livelli accettabili in termini di rapporto rischio-beneficio, ma dell'efficacia del trattamento: ogni medico anestesista potrà raccontare casi di pazienti che si risvegliano parzialmente durante l'operazione per essere poi rimessi "a nanna" senza che ricordino nulla di quanto avvenuto (stato vigile, coscienza e sedazione sensoriale del dolore agiscono su binari diversi).
Attualmente, il calcolo della dose ottimale di anestetico viene fatta seguendo il cosiddetto "modello Marsh", che utilizza diversi parametri tra cui il peso corporeo. Nel momento in cui l'anestetico inizia ad agire, lo stato di coscienza del paziente viene monitorato e la dose aggiustata, prima che il chirurgo possa iniziare in tutta sicurezza il suo lavoro.
Molte sono le variabili da considerare, tra cui il profilo metabolico, a sua volta diretta conseguenza del profilo genetico. I soggetti con alleli definiti "ipermetabolizzatori" eliminano più velocemente l'anestetico in circolo imponendo all'anestesista di rinforzare la dose ad intervalli prefissati. Altri individui sono invece portatori di polimorfismi nei recettori dell'anestetico con conseguente ipersensibilità (in alcuni) o la resistenza (in altri) al trattamento. Grazie ai risultati resi possibili dal Progetto Genoma, oggi è possibile analizzare "l'impronta digitale genetica" di ogni paziente, e quindi determinare la dose ottimale di un farmaco, ben prima che entri in sala operatoria.
Siamo tuttavia lontani da una comprensione completa e non è sempre facile rilevare l'affioramento di uno stato di consapevolezza di un soggetto apparentemente sedato.
Trovare un modo per correlare in modo incontrovertibile l'attività cerebrale allo stato di coscienza permetterebbe di monitorare l'eventuale uscita parziale - e oggi non rilevabile - dallo stato di sedazione, permettendo all'anestesista di intervenire per tempo.
Nota. Le ricadute potenziali di una tale capacità andrebbero ben oltre il campo della anestesiologia. Pensiamo a tutti i soggetti in stato vegetativo o in generale a tutti coloro che appaiono come non coscienti, e alla possibilità di escludere (o confermare) in modo inequivocabile in essi l'esistenza, anche solo parziale, di una consapevolezza.
Lo studio
Tracciare le comunicazioni esistenti tra le diverse aree cerebrali ed identificare quali tra queste possano assurgere al ruolo di segnali rivelatori dello stato di coscienza è il compito che si sono prefissati alcuni ricercatori dell'università di Cambridge. Il lavoro, pubblicato sulla rivista PLoS Computational Biology, è centrato sulla caratterizzazione di queste reti neurali (mediante tecniche come l'elettroencefalografia - EEG) in volontari a cui veniva somministrato un anestetico classico (propofol) durante l'esecuzione di test basati sui loro riflessi.
Nello specifico, 20 persone (9 maschi, 11 femmine) hanno ricevuto dosi incrementanti di propofol - con limite superiore prefissato - durante test in cui dovevano premere un certo tasto al suono "ping" e un tasto diverso al suono "pong".
Raggiunta la dose massima, il quadro che si presentava era alquanto eterogeneo. Alcuni soggetti apparivano sedati mentre altri continuavano imperterriti a svolgere il test compiendo pochi errori. Un risultato non sorprendente per quanto scritto precedentemente, cioè per l'esistenza di una diversa sensibilità individuale ad un identico anestetico. I ricercatori hanno quindi confrontato lo stato di ciascun volontario con il tracciato EEG, con la speranza di identificare una "firma" che fosse in grado di anticipare la risposta di ciascuno all'anestetico.
La firma è stata identifica nella gamma di frequenze 7,5-12,5 Hz (intervallo noto come ritmo alfa), tipicamente presente nel cervello cosciente e rilassato, che mostrava dei tratti parzialmente diversi nei soggetti diversamente responsivi (per approfondimenti su anestetico e onde alfa vedi libro citato nelle fonti).
Dalla comparazione del livello di propofol ematico con il profilo EEG si è scoperto che esisteva una correlazione ma non tra propofol e onde alfa, quanto tra i livelli di anestetico e l'attività di alcune specifiche aree cerebrali.
Tracciare le comunicazioni esistenti tra le diverse aree cerebrali ed identificare quali tra queste possano assurgere al ruolo di segnali rivelatori dello stato di coscienza è il compito che si sono prefissati alcuni ricercatori dell'università di Cambridge. Il lavoro, pubblicato sulla rivista PLoS Computational Biology, è centrato sulla caratterizzazione di queste reti neurali (mediante tecniche come l'elettroencefalografia - EEG) in volontari a cui veniva somministrato un anestetico classico (propofol) durante l'esecuzione di test basati sui loro riflessi.
Nello specifico, 20 persone (9 maschi, 11 femmine) hanno ricevuto dosi incrementanti di propofol - con limite superiore prefissato - durante test in cui dovevano premere un certo tasto al suono "ping" e un tasto diverso al suono "pong".
Raggiunta la dose massima, il quadro che si presentava era alquanto eterogeneo. Alcuni soggetti apparivano sedati mentre altri continuavano imperterriti a svolgere il test compiendo pochi errori. Un risultato non sorprendente per quanto scritto precedentemente, cioè per l'esistenza di una diversa sensibilità individuale ad un identico anestetico. I ricercatori hanno quindi confrontato lo stato di ciascun volontario con il tracciato EEG, con la speranza di identificare una "firma" che fosse in grado di anticipare la risposta di ciascuno all'anestetico.
La firma è stata identifica nella gamma di frequenze 7,5-12,5 Hz (intervallo noto come ritmo alfa), tipicamente presente nel cervello cosciente e rilassato, che mostrava dei tratti parzialmente diversi nei soggetti diversamente responsivi (per approfondimenti su anestetico e onde alfa vedi libro citato nelle fonti).
Dalla comparazione del livello di propofol ematico con il profilo EEG si è scoperto che esisteva una correlazione ma non tra propofol e onde alfa, quanto tra i livelli di anestetico e l'attività di alcune specifiche aree cerebrali.
Predire la responsività di un individuo all'anestetico sembra quindi possibile utilizzando tecniche poco costose e assolutamente non invasive come la EEG.
Se i dati verranno confermati nell'ambito di studi più estesi, si potrà pensare di aggiungere questo test all'elettrocardiogramma di routine condotto dall'anestesista prima del ricovero.
Fonti
- Brain waves could help predict how respond to general anaesthetics
University of Cambridge / research /news
- Brain Connectivity Dissociates Responsiveness from Drug Exposure during Propofol-Induced Transitions of Consciousness
Srivas Chennu et al, PLoS Comput Biol. 2016 Jan 14;12(1)
- Effetto del propofol sul traccia EEG
Richard W. Byrne. Functional Mapping of the Cerebral Cortex: Safe Surgery in Eloquent Brain (--> pg.85)
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