Il quesito potrebbe sembrare molto Fanta- e poco -scientifico ma non lo è. Verte infatti su quesiti chiave nel campo della esobiologia, una branca della biologia "del possibile" che va a braccetto con l'esplorazione dei pianeti (e soprattutto delle lune) del sistema solare e con la scoperta di esopianeti con caratteristiche "terrestri".
Considerando che ad oggi sono 5250 gli esopianeti confermati, distribuiti in 3921 sistemi stellari, e che le nane rosse (classe M) sono le stelle più comuni nell'universo (76% delle stelle nella sequenza principale), porsi domande sul tipo di vita che potrebbe esistere su questi pianeti non è peregrina. E dato che la fotosintesi è il mezzo più efficiente per ricavare energia dall'ambiente, evolutivamente successivo alla chemiosintesi (che non necessita di luce e può quindi svilupparsi nelle profondità oceaniche) la domanda spontanea è se lo spettro luminoso irradiato da una nana rossa sui pianeti del suo sistema sia compatibile con una qualche forma di fotosintesi aliena.
Tramonto immaginario su un pianeta alieno (Credit: ESO/L. Calçada). Due esempi classici di pianeti appartenenti a questa categoria sono Proxima b o i 7 pianeti del sistema TRAPPIST-1. |
Nota. Per ragioni metodologiche solo una estrema minoranza (195) delle migliaia di pianeti scoperti sono di tipo terrestre (per dimensione e tipologia, cioè rocciosi) e ancora meno quelli siti nelle cosiddette orbite abitabili. Sul tema "idoneità nane rosse alla vita" rimando anche ad un precedente articolo.
Non che la vita in prossimità delle nane rosse non sia esente da complicazioni per quanto compensabili da "vie di fuga". Ad esempio data la piccola massa della stella la zona abitabile è prossimale e coincidente con il tidal locking (rotazione sincrona). Oppure i frequenti brillamenti di queste stelle, certamente longeve, che potrebbero sterilizzare la superficie del pianeta. Sul tema rimando al mini approfondimento in calce a questo articolo**.
A fare un po' di chiarezza teorica sulla possibilità di fotosintesi in questi sistemi stellari dove la luce visibile preponderante è il rosso (quindi a bassa energia), arriva ora uno studio dell'Università di Padova pubblicato sulla rivista Frontiers of Plant Science. Fulcro dello studio la simulazione di come organismi fotosintetici unicellulari (cianobatteri) se la caverebbero in questi sistemi stellari.
La scelta dei cianobatteri non è casuale essendo questi gli organismi fotosintetici a cui dobbiamo la comparsa dell'ossigeno atmosferico.
I risultati sperimentali dimostrano che la fotosintesi ossigenica (cioè quella che prevede l'ossigeno come sottoprodotto) potrebbe avvenire su un pianeta illuminato da una (o più) nane rosse.
L'esperimento ha utilizzato due tipi di cianobatteri, fatti crescere in presenza dello spettro luminoso tipico di una nana rossa:
- Chlorogloeopsis fritschii (capace di sintetizzare pigmenti come la clorofilla d e clorofilla f) in grado di assorbire la luce del rosso estremo. A differenza della maggior parte degli altri organismi fotosintetici (come le piante), la presenza di questi pigmenti permette loro di ricavare energia sia dalla luce visibile che del quasi infrarosso e produrre (come sottoprodotto) ossigeno
- Synechocystis (genere), è un ampio gruppo di cianobatteri d'acqua dolce in grado di usare per la fotosintesi solo la luce visibile (non il rosso estremo).
C. fritschii (sinistra) e Synechocystis (destra) cresciuti in diverse condizioni di luce (image credit: M. Battistuzzi et al, FoPS 2023) |
Come controllo sperimentale è stata usata una luce di tipo solare, per quantificare la crescita, le risposte di acclimatazione e la produzione di ossigeno in condizioni ottimali.
I due tipi di cianobatteri non hanno mostrato differenze nella crescita quando coltivati in presenza di una luce simile a quella emessa da una nana rossa o a quella solare. Con la differenza che, in ambiente "nana rossa", C. fritschii utilizzava entrambi sia i fotoni "visibili" che quelli far-red mentre Synechocystis si faceva bastare quei pochi fotoni dello spettro visibile. Un dato in un certo senso sorprendente considerando che la quantità di luce visibile intorno ad una stella di classe M è alquanto scarsa.
La differenza tra i due cianobatteri diventa palese quando vengono cresciuti in presenza di sola luce rosso-lontano. In questo caso Synechocystis non cresce e bisogna aggiungere luce dello spettro visibile per rendere possibile la fotosintesi (e quindi la loro crescita).
Sebbene non ci sia ancora una risposta certa, i ricercatori hanno ipotizzato che, come dimostrato da studi sulle piante, la fotosintesi mediata dal rosso lontano sinergizza la fotosintesi ossigenica solo se presente la luce visibile, mentre da sola è scarsamente utile da sola.
La possibilità di entrambi di crescere (e produrre ossigeno) in condizioni di luce delle nane rosse dimostra la potenzialità dei cianobatteri di usare la luce disponibile almeno in alcune aree del pianeta "bloccato" in un orbita sincrona (vedi sotto) e come questa produzione di ossigeno potrebbe essere usata come biomarcatore per le osservazioni dalla Terra.
La presenza di ossigeno è tuttavia un indicatore complicato da rilevare nei pressi delle nane rosse a causa della lunga fase (rispetto alle stelle solari) della loro "adolescenza" (pre-sequenza principale) che dura circa 1 miliardo di anni, durante il quale l'elevata attività della stella potrebbe innescare un effetto serra con massiccia evaporazione dell'acqua che verrebbe poi scomposta dalle radiazioni in idrogeno e ossigeno (fotolisi).Mentre l'idrogeno si perderebbe nello spazio l'ossigeno diventerebbe parte di una densa atmosfera di ossigeno ma del tutto abiotico. Atmosfere del genere sarebbero "nemiche" della comparsa della vita (l'ossigeno è tossico e infatti sulla Terra una volta prodotto dai cianobatteri ha portato ad una massiccia estinzione salvo i pochi che "impararono" a neutralizzarlo utilizzando per la respirazione cellulare).
Anche se la componente di luce visibile nello spettro emesso dalle nane rosse è molto bassa, può comunque essere utilizzata da alcuni organismi fotosintetici ossigenici in modo efficiente. Se la vita si è evoluta su un pianeta in orbita nella zona abitabile di questi sistemi, la comparsa di fotosintesi ossigenica è possibile e questo renderebbe il "processo" evolutivo molto più simile a ciò che accade sulla Terra di quanto precedentemente previsto (sebbene con una soluzione più specifica per adattarsi alle sfide ambientali locali). Una volta dato il via al massiccio rilascio di ossigeno nell'atmosfera si innescherebbe, come avvenuto sulla Terra 2,5 miliardi di anni fa, il cosiddetto Grande Evento Ossidativo e a cascata la comparsa di forme di vita più complesse.
Fonte
- Oxygenic photosynthetic responses of cyanobacteria exposed under an M-dwarf starlight simulator: Implications for exoplanet’s habitability
Mariano Battistuzzi et al, (2023) Frontiers of Plant Science
Sul tema "vivere in ambienti estremi"
** NOTA
Quanto scritto sopra è una buona notizia per gli esobiologi anche se (come direbbero gli americani) "la giuria non si è ancora pronunciata" sulla reale possibilità di vita in questi luoghi dati alcuni problemi "strutturali" tipici di un pianeta orbitante nella zona abitabile di una nana rossa.
In sintesi ecco i punti critici:
- il 25% delle stelle di classe M "giovani" rilascia, in seguito a brillamenti e attività della cromosfera, raggi X e UV. L'effetto potenziale (anche ipotizzando tempi molto lunghi tra un evento e l'altro) sarebbe la sterilizzazione delle parti planetarie esposte anche in presenza di uno strato di ozono (che verrebbe in ogni caso depletato con il tempo), con la conseguenza di dovere ripartire da zero ogni volta. Non un problema "insolubile", invero, ipotizzando la protezione planetaria fornita da una forte magnetosfera e/o da una densa atmosfera. Oltre a questo, gli organismi lì presenti potrebbero avere evoluto pigmenti protettivi in grado di assorbire i raggi UV e meccanismi di riparazione del DNA come rilevato anche sulla Terra in organismi tipo il batterio Deinococcus radiodurans, che come il nome suggerisce è resistente alle radiazioni, oppure la scelta di nicchie ecologiche protette nel sottosuolo o nelle profondità oceaniche.
- Le nane rosse sono stelle più deboli e fredde del Sole, che emettono la maggior parte della loro radiazione nelle lunghezze d'onda del rosso e dell'infrarosso (energia inferiore rispetto alla luce gialla dei picchi del Sole).
- Sebbene queste stelle abbiano una adolescenza "lunga e tumultuosa" è anche vero che superata questa fase hanno davanti a sé una vita talmente lunga da rasentare l'eterno. Questo spiega perché siano le stelle più abbondanti dell'universo e perché in tale eternità di emissione energetica bassa ma costante, le probabilità che si inneschi la vita (in presenza di condizioni chimico-fisiche favorevoli) sia, per quanto bassa, non trascurabile.
Attese di vita per una nana rossa in funzione della massa - La loro minor massa fa sì che la zona abitabile sia nettamente più prossimale alla stella di quanto avvenga in sistemi di tipo solare (vedi figura sotto). Tale vicinanza rende quasi inevitabile per il pianeta di essere intrappolato nella rotazione sincrona con una faccia perennemente illuminata e una nel buio eterno. In questi casi, tranne nel caso di atmosfere molto spesse, la zona ideale per ospitare la vita sarebbe quella intermedia, illuminata da eterni tramonti/albe.
- Sulla Terra, la vita è comparsa durante il periodo Archeano (circa 4 miliardi di anni fa) quando l'atmosfera era ancora in gran parte composta da anidride carbonica, metano e altri gas vulcanici. Tra 3,4 e 2,9 miliardi di anni fa, i primi organismi fotosintetici - microbi verde-blu chiamati cianobatteri - iniziarono a prosperare negli oceani della Terra. Condizioni, quelle iniziali sulla Terra, che potremmo ben definire aliene.
Confronto tra la zona abitabile (verde) del sistema solare e del sistema centrato su una nana rossa (credit:NASA) |
Approfondimenti
- Assessing The Habitability Of Planets Around Old Red Dwarfs
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