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Xenobot. Non solo la curiosa "autoreplicazione" (simile a quella dei proto-organismi?) ma anche l'inizio della progettazione biologica guidata dalla IA?

La visione al microscopio di mini ammassi di materiale biologico che in una capsula di Petri si muovono come ubriachi appena scesi da una giostra girata troppo velocemente, potrebbe ricordare, all'osservatore medio, il vorticoso movimento dei microrganismi in una goccia d'acqua presa da uno stagno.
Immagine di uno xenobots in azione 
(image credit: Doug Blackiston & Sam Kriegman)
Definizione riduttiva in questo caso dato che queste cellule potrebbero segnare un nuovo capitolo nelle bioscienze, sia da un punto di vista tecnologico che filosofico.

I mini "blob" dell'immagine sono degli xenobot, da alcuni anche definiti biorobot - impropriamente a mio avviso-  capaci di riprodursi in modo nuovo.
Lo studio è stato pubblicato qualche giorno fa sulla rivista PNAS.

Gli xenobot visti al microscopio
(video credit: Sam Kriegman et al, PNAS December 7, 2021 118 (49))

Premessa. Il nome xenobot è il risultato della crasi di due termini (xeno + bot) che per quanto corretti danno un risultato potenzialmente fuorviante.
  • Xeno. La radice greca che indica "diversità dal comune" potrebbe facilmente evocare le creature del film Aliens, note anche come xenomorfi. Nel caso degli xenobot però "xeno" deriva dal nome della rana da cui sono state prelevate le cellule (Xenopus laevis), una specie ampiamente usata in laboratorio. 
    credit: Brian Gratwicke 

  • Bot. Errato associarli a "robot" o entità ibride (ad esempio i Borg della saga Star Trek) essendo totalmente costituito da materiale organico vivente e nemmeno geneticamente modificato. L'associazione a "bot" viene dall'avere utilizzato algoritmi per indirizzare le caratteristiche del loro sviluppo (vedi sotto)
Gli xenobot sono infatti dei globi di cellule staminali prelevati da una fase molto precoce (blastula) dell'embrione della rana. Nelle fasi iniziali della loro "coltivazione", questi gruppi di cellule hanno un unico scopo, comune alle staminali, cioè dividersi e/o differenziarsi, a seconda delle condizioni ambientali e del loro "programma genetico". Con il tempo (leggasi numero di passaggi in coltura)  queste cellule hanno acquisito nuove capacità tra cui quella motoria, una sorta di memoria e una rinnovata capacità di interagire con l'ambiente circostante. Possono moltiplicarsi, e questo lo fa qualunque linea cellulare non senescente, ma il modo con cui creano nuove versione di se stesse non ha termini di paragone con la "normale" vita biologica.
Gli autori dello studio definiscono questo comportamento come "autoreplicazione" invece di riproduzione (vedi sotto). La capacità di cellule geneticamente non modificate di riconfigurarsi in autoreplicatori e il fatto che questa modalità sia sorta spontaneamente piuttosto che attraversi i classici passaggi della selezione biologica, esemplifica la loro peculiarità e la possibilità di sfruttarla come punto di partenza per la progettazione di nuovi sistemi.

Gli xenobot sono indubbiamente vivi, ma ben lungi dall'essere veri organismi.
Si tratta di cellule indifferenziate, dotate certamente di un potenziale differenziativo ma incapaci di generare un nuovo organismo. In un certo senso potremmo definirle come "cellule senza uno scopo", il che le distingue nettamente da qualunque organismo.
Vediamo tale peculiarità nel dettaglio.
Dopo l'espianto le cellule vengono messe in una soluzione salina che favorisce la loro aggregazione in sfere costituite da circa 3 mila cellule. Dopo circa 3 giorni le sfere mostrano strutture ciliate o appendici simili a capelli che consentono loro di interagire con l'ambiente circostante.
Niente di veramente nuovo nel campo delle colture cellulari su celle staminali. La vera novità si scoprì quando dopo avere aggiunto questi sferoidi in una piastra di Petri contenente 60 mila cellule staminali singole, veniva indotta l'aggregazione delle cellule in mini sfere, ciascuna fatta da circa 50 cellule. Queste mini-sfere, a loro volta dotate di motilità, ripetono il processo quando incontrano altre cellule staminali, così creando nuove mini-sfere.
Il processo è stato in seguito associato ad un algoritmo di apprendimento utile per "guidare" (leggasi, creare le condizioni adatte) la comparsa di caratteristiche specifiche come la dimensioni e la forma della sfera.
Un organismo progettato al computer. A sinistra: il progetto di sviluppo disegnato con un modello computazionale. A destra: lo xenobot sviluppatosi costituito da epitelio (verde) e muscolo cardiaco (rosso) derivati dalle cellule prelevate dalla blastula. Il tessuto muscolare serve per conferire motilità.
Image credit: Sam Kriegman (2020 - https://cdorgs.github.io) Video a fondo pagina

Grazie alla IA si possono progettare xenobot di forma e caratteristiche desiderate.
Image credit: Sam Kriegman - https://cdorgs.github.io


Una "replicazione da contatto" che potrebbe far pensare ad eventi di cristallizzazione nel mondo inorganico oppure alla propagazione dei prioni.

Una peculiarità che potrebbe forse dirci qualcosa sui primi organismi terrestri e, chissà, persino sugli organismi esistenti su altri mondi.
Non sappiamo nulla di certo sull'origine della vita nel nostro pianeta. Le teorie vanno dal classico "brodo di Miller" che dimostrò la sintesi prebiotica di alcuni mattoni fondamentali per la vita, ai peptidi autoassemblanti divenuti ad un certo punto capaci di auto-replicarsi, e come tali rappresenterebbero la primissima fase dell'evoluzione della vita. Una fase che precede il cosiddetto mondo a RNA (precedente rispetto al DNA proprio grazie alla proprietà unica del RNA di formare molecole autocatalitiche, i ribozimi)

Se lo studio dell'origine della vita è puramente speculativo o di interesse per futuribili missioni spaziali, gli xenobot ci offrono strumenti prêt-à-porter nel campo della biologia avanzata.  Questo ci porta ad uno degli elementi interessanti di questa scoperta cioè la definizione di vita; domanda tutt'altro che peregrina che vede la NASA tra i principali soggetti interessati alla domanda. Il motivo? Se vuoi cercare la vita al di fuori del nostro pianeta (esobiologia) devi poterla definire in senso generale, al di fuori della specificità del nostro pianeta. 
Ad oggi la la migliore definizione di vita è un "sistema chimico autosufficiente capace di un'evoluzione darwiniana" (vedi anche sulla pagina della NASA), definizione che quindi esclude i virus meglio catalogabili come quasi-organismi.
Questo ci porta alle future applicazioni degli xenobot in cui la biologia si unisce alla "progettazione" basata su algoritmi. I ricercatori ipotizzano che la modellazione al computer potrebbe consentire agli Xenobot di acquisire forme e funzioni per svolgere funzioni molto specifiche; un esempio, indurle a comportarsi come "cargo" per il trasporto di farmaci fino a distretti difficilmente accessibili dalle sole molecole, come quelle protette dalla barriera emato-encefalica.


Il video riferito al primo lavoro (2020) sul tema


Su temi "correlati" il libro di G. Galletta sulla astrobiologia (sia in formato digitale gratuito che cartaceo a 18€)

Fonti
- Kinematic self-replication in reconfigurable organisms
Sam Kriegman et al, PNAS December 7, 2021 118 (49)

A scalable pipeline for designing reconfigurable organism
Sam Kriegman et al, PNAS January 13, 2020), 117 (4): 1853–1859



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