Il sistema immunitario consta di due linee di difesa (escludendo le barriere fisiche, come l’epitelio e le secrezioni protettive, tipo il muco): difese innate e difese acquisite.
Al primo tipo appartengono macrofagi, granulociti, cellule Natural Killer (NK) e sistema del complemento, mentre al secondo i linfociti.
La principale differenza tra i due è che le difese innate possono essere paragonate a pattuglie che (a seconda del tipo) colpiscono tutto ciò che non ha un lasciapassare idoneo e/o chi mostra “segnali” riconosciuti in modo automatico come “nemico”, tipo particolari combinazioni di saccaridi tipici di molti batteri.
Cellula Natural Killer (credit: NIAID) |
Cito solo per completezza la linea di difesa interna alle cellule che riconosce DNA o RNA "alieni" (virali) che porta alla duplice attivazione di un segnale di allarme per le cellule vicine (interferone) e il suicidio della cellula stessa. Si tratta di difese molto antiche che funzionano egregiamente per scovare e annientare in poco tempo gli intrusi. Per ulteriori dettagli vi rimando ad una review di qualche anno fa.
Al contrario la difesa acquisita (alias immunità adattativa) necessita di un "incontro con il nemico" in quanto si fonda sulla cattura da parte delle cellule spazzino del potenziale intruso e la presentazione dell’identikit dello stesso nella “nursery” dei linfociti, selezionando le cellule che hanno prodotto (per puro caso durante il riarrangiamento dei geni codificanti le immunoglobuline) una immunoglobulina adatta al bersaglio. Questa difesa è molto più efficente ma richiede 3 settimane per raggiungere il picco di risposta.
Tra le cellule alla base della risposta innata, le NK sono le più interessanti (e anche meno comprese) in quanto importanti anche nel monitoraggio ed eradicazione (e in futuro nella terapia) delle cellule tumorali che spontaneamente compaiono durante la vita.
Immagine al microscopio (falsi colori) che mostra il riconoscimento e attacco delle NK di una cellula tumorale (image credit: dana-farber.org) |
L'attività di controllo delle NK è stata anche associata alla protezione di primo livello contro l’infezione da Sars-CoV-2 mediante la distruzione delle cellule infettate; un processo importante perché dà il tempo all’organismo di montare difese (adattative) adeguate. Mancavano però ad oggi i dettagli su come facessero le NK a capire se e quale cellula fosse infettata (tra l’altro da un virus nuovo, sebbene membro di una classe, coronavirus, con cui conviviamo da sempre).
A dare una risposta arriva lo studio dei ricercatori del Karolinska Institutet, pubblicato su Cell Reports.
Le NK vivono in un equilibrio dinamico che previene la loro attivazione (attacco), grazie al bilanciamento tra i segnali inibitori delle nostre cellule (“qui tutto a posto. Non sono un estraneo”) e attivatori ("qui c'è qualcosa di strano") da cui dipende se la NK attaccherà o meno la cellula incontrata nel suo giro di pattuglia.
In breve, i ricercatori hanno identificato un peptide virale, esposto sulla superficie delle cellule infettate grazie alla proteina HLA-E (proteina della famiglia MHC importante per la regolazione del sistema immunitario), che viene riconosciuto dal recettore NKG2A presente sulle NK. Una volta avvenuto il riconoscimento, l'equilibrio si sposta su "attacco", ignorando i segnali di “tutto ok”; in pratica è come una macchina sempre accesa con il freno a mano tirato a cui viene tolto il freno. Il coinvolgimento del recettore NKG2A viene da studi precedenti che avevano mostrato come in alcuni casi il virus riuscisse a sfuggire al controllo impedendo l'attivazione del recettore sulle NK.
credit: Quirin Hammer et al |
Qualche parola in più sullo studio, diviso in una prima fase in cui l’ipotesi “esiste un frammento virale riconosciuto da un recettore” è stata testata al computer e la successiva conferma in laboratorio.
I test in vivo si sono basati sull’infezione di cellule polmonari umane con il virus, poi “esposte” a cellule NK dotate o meno di NKG2A (knock-out funzionale). I risultati hanno dimostrato la centralità del recettore nel processo di riconoscimento della HLA-E che "presenta" un peptide non-self.
I ricercatori sono ora impegnati nell’analisi di campioni di sangue (ottenuti dalla biobanca dell'ospedale) di oltre 300 persone curate per COVID-19 durante la prima ondata della pandemia. Lo scopo è vedere se le caratteristiche delle NK presenti nei pazienti correlavano con la gravità dei sintomi.
In futuro questa conoscenza potrebbe essere utile durante la fase di monitoraggio di nuove varianti di virus per prevedere se e quanto la nuova variante verrà riconosciuta (quindi neutralizzata) dal sistema immunitario innato.
Fonte
- SARS-CoV-2 Nsp13 encodes for an HLA-E-stabilizing peptide that abrogates inhibition of NKG2A-expressing NK cells
Quirin Hammer et al, (2022) Cell Reports
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