La spiegazione meccanica per cui ricevere una colpo al petto può avere effetti diametralmente opposti è ancora oggi poco compresa.
Un colpo, quindi una compressione che dallo sterno si propaga al muscolo cardiaco, può infatti sia indurre un arresto cardiaco (come capitato ad alcuni giocatori di baseball colpiti al petto dalla palla) che fare ripartire il cuore in arresto o durante tachiaritmie cardiache (in genere fatali come capitato al calciatore Astori), grazie a compressioni ripetute.
L'ipotesi finora ritenuta più verosimile era che tali colpi provocassero improvvise tensioni sul tessuto cardiaco, ma poco chiaro era il perché potessero avere esiti così diversi.
Il battito del cuore è il risultato di un processo di accoppiamento elettromeccanico. Più specificamente, gli impulsi elettrici cardiaci sono generati dalle cellule pacemaker (site nei nodi senoatriale, in primis, e atrioventricolare) il cui nome deriva dal fatto che sviluppano spontaneamente la depolarizzazione che sfocia poi nel potenziale d'azione trasmesso ai muscoli per indurre la contrazione del cuore. Il sistema nervoso autonomo agisce poi da regolatore (positivo o negativo) sul ritmo e potenza mediante il nervo vago e il nervo cardiaco, ma l'innesco è assolutamente indipendente da centri di controllo esterni al cuore.
Ad ogni contrazione, il sangue viene espulso in modo ordinato (contraendo prima l'atrio fino al riempimento del ventricolo e da lì alle arterie) garantendo in tal modo una circolazione unidirezionale.
L'accoppiamento dell'impulso elettrico alla contrazione muscolare è il punto cruciale perché è questo che fa battere il cuore ad un ritmo regolare.
L'ipotesi più accreditata è che l'effetto potenzialmente fatale di un colpo al petto sia la conseguenza di subitanee alterazioni tensorie del muscolo che interferiscono con la propagazione dell'impulso elettrico, causando quindi l'interruzione del battito cardiaco (o all'opposto un reset nel caso di una aritmia, che è una contrazione anomala del tessuto cardiaco) .
Ipotesi rimasta tale finora per la mancanza di dispositivi capaci di riprodurre in test di laboratorio tensioni indotte sul cuore e quantificarne poi l'effetto.
Una mancanza colmata da ricercatori dell'università di Berna e della EPFL che hanno sviluppato un dispositivo che consente agli scienziati di lavorare su sezioni di cellule cardiaco prelevate da ratti modificati, osservandone la risposta elettrofisiologica ad una serie di alterazioni/deformazioni dinamiche.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications.
Il dispositivo consta di una sottile membrana elastica in silicone, in cui sono integrati elettrodi in oro e carbonio, capace di indurre sezioni di tessuto cardiaco in coltura ad alterazioni che mimano quelle successive ad un impatto sul torace. Gli elettrodi di carbonio producono la tensione nel tessuto cardiaco mentre quelli d'oro misurano la risposta elettrofisiologica cellulare.
Contrariamente a quanto si pensava, i ricercatori hanno scoperto che l'induzione di tensioni tissutali anche molto rapide non avevano un effetto rilevante sulla propagazione degli impulsi elettrici. Un dato che fa sorgere la possibilità che l'effetto letale di un colpo al cuore NON sia a carico della componente muscolare ma delle adiacenti cellule del tessuto connettivo (--> QUI per approfondire la parte istologica). Il che impone di ricalibrare gli approcci diagnostici su un bersaglio diverso da quello finora preso a riferimento.
Il lavoro è un esempio di come in ambito scientifico un risultato apparentemente negativo è nondimeno importante perché permette di rimodulare la teoria e così avanzare nella conoscenza.
Un colpo, quindi una compressione che dallo sterno si propaga al muscolo cardiaco, può infatti sia indurre un arresto cardiaco (come capitato ad alcuni giocatori di baseball colpiti al petto dalla palla) che fare ripartire il cuore in arresto o durante tachiaritmie cardiache (in genere fatali come capitato al calciatore Astori), grazie a compressioni ripetute.
L'ipotesi finora ritenuta più verosimile era che tali colpi provocassero improvvise tensioni sul tessuto cardiaco, ma poco chiaro era il perché potessero avere esiti così diversi.
Il battito del cuore è il risultato di un processo di accoppiamento elettromeccanico. Più specificamente, gli impulsi elettrici cardiaci sono generati dalle cellule pacemaker (site nei nodi senoatriale, in primis, e atrioventricolare) il cui nome deriva dal fatto che sviluppano spontaneamente la depolarizzazione che sfocia poi nel potenziale d'azione trasmesso ai muscoli per indurre la contrazione del cuore. Il sistema nervoso autonomo agisce poi da regolatore (positivo o negativo) sul ritmo e potenza mediante il nervo vago e il nervo cardiaco, ma l'innesco è assolutamente indipendente da centri di controllo esterni al cuore.
La depolarizzazione inizia in una regione di tessuto specializzato dell'atrio destro detta nodo seno atriale (SA). L'onda di depolarizzazione si propaga, poi, alle circostanti fibre muscolari atriali. Dopo un certo tempo (0,12-0,2 secondi) l'onda di depolarizzazione raggiunge una seconda zona specializzata nell'atrio destro (nodo atrio ventricolare - AV) e da lì lungo il fascio di His prima e le fibre di Purkinje poi, si propaga alle altre zone. Importante sottolineare che esistono altre aree sede di cellule pacemaker che intervengono in casi di malfunzionamenti del SA in modo da fare "partire" il battito. Le prime tuttavia sono dominanti (image credit: A. Cork via gfycat) |
L'accoppiamento dell'impulso elettrico alla contrazione muscolare è il punto cruciale perché è questo che fa battere il cuore ad un ritmo regolare.
L'ipotesi più accreditata è che l'effetto potenzialmente fatale di un colpo al petto sia la conseguenza di subitanee alterazioni tensorie del muscolo che interferiscono con la propagazione dell'impulso elettrico, causando quindi l'interruzione del battito cardiaco (o all'opposto un reset nel caso di una aritmia, che è una contrazione anomala del tessuto cardiaco) .
Ipotesi rimasta tale finora per la mancanza di dispositivi capaci di riprodurre in test di laboratorio tensioni indotte sul cuore e quantificarne poi l'effetto.
Una mancanza colmata da ricercatori dell'università di Berna e della EPFL che hanno sviluppato un dispositivo che consente agli scienziati di lavorare su sezioni di cellule cardiaco prelevate da ratti modificati, osservandone la risposta elettrofisiologica ad una serie di alterazioni/deformazioni dinamiche.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications.
Il dispositivo consta di una sottile membrana elastica in silicone, in cui sono integrati elettrodi in oro e carbonio, capace di indurre sezioni di tessuto cardiaco in coltura ad alterazioni che mimano quelle successive ad un impatto sul torace. Gli elettrodi di carbonio producono la tensione nel tessuto cardiaco mentre quelli d'oro misurano la risposta elettrofisiologica cellulare.
Contrariamente a quanto si pensava, i ricercatori hanno scoperto che l'induzione di tensioni tissutali anche molto rapide non avevano un effetto rilevante sulla propagazione degli impulsi elettrici. Un dato che fa sorgere la possibilità che l'effetto letale di un colpo al cuore NON sia a carico della componente muscolare ma delle adiacenti cellule del tessuto connettivo (--> QUI per approfondire la parte istologica). Il che impone di ricalibrare gli approcci diagnostici su un bersaglio diverso da quello finora preso a riferimento.
Il lavoro è un esempio di come in ambito scientifico un risultato apparentemente negativo è nondimeno importante perché permette di rimodulare la teoria e così avanzare nella conoscenza.
Fonte
- High-speed mechano-active multielectrode array for investigating rapid stretch effects on cardiac tissue
N. Imboden et al, Nature Communication (2019) 10, Article number: 834
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