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Batteri resistenti agli antibiotici anche nei giardini pubblici (californiani)

Le preoccupazioni degli organismi di controllo sanitario sulla diffusione dei cosiddetti superbugs (i batteri resistenti a più di un antibiotico) non sono immotivate se si pensa che nei soli USA sono 23 mila i decessi ascrivibili ad infezioni con questi batteri. Numeri che si riferiscono in buona parte a persone con stato di salute precaria, data la loro frequentazione di ospedali e dispositivi medici invasivi, ma che può riguardare chiunque, anche il più sano tra noi.
Le stime sono che per il 2050 il numero di decessi annuali causati da tali batteri sarà di 10 milioni di persone, più dei decessi causati dal cancro.
Una preoccupazione destinata a crescere in California a seguito della scoperta fatta dai ricercatori della UCLA della presenza di tali batteri (e con valori non esiziali) nei parchi pubblici di quattro città.

Lo studio, pubblicato sulla rivista ACS Omega, riporta i risultati del monitoraggio di suolo e acque nei parchi di Los Angeles, San Diego, Fresno e Bakersfield La rilevazione è stata fatta non sui batteri in sé ma sulle tracce della loro presenza, ottenibili mediante la quantificazione del DNA (o meglio dei geni codificanti per la resistenza agli antibiotici); una analisi ben più dettagliata quindi in quanto non dipendente dalle variabili ambientali contingenti al momento del monitoraggio.

I livelli più alti sono stati riscontrati, non senza sorpresa, nelle acque prelevate dai rubinetti delle fontanelle a San Diego e Los Angeles. Sorpresa in quanto i risultati di un precedente studio avevano mostrato un alto titolo batterico in alcune zone di Fresno e Bakersfield, spiegabile dalla presenza di allevamenti animali; osservare un'alta incidenza in aree "non attese" e frequentate da persone è sicuramente più preoccupante.
Il MacArthur Park a Los Angeles, uno tra quelli con maggiore presenza di geni per la resistenza agli antibiotici
(credit: Wurzeller/Wikimedia Commons)

Sebbene i risultati siano importanti non è un segnale da giustificare di per sé il panico. Il motivo è che i geni per la resistenza agli antibiotici non sono di loro tossici e sono del tutto naturali; la loro esistenza è la contromisura evolutiva adottata dai batteri per superare le difese/armi sviluppate da altri batteri o funghi (i veri "inventori" degli antibiotici). La diffusione di tali geni diventa un problema per noi quando vengono "catturati" dai batteri patogeni come arma per resistere alle nostre terapie. 
La "cattura" avviene in diversi modi: coniugazione batterica; infezione latente con batteriofagi (alias virus batterici) portatori del gene; mutazioni spontanee in proteine bersaglio e trasferimento ad altri batteri; cattura del DNA libero (da cellule lisate) nell'ambiente.
Il problema è diventato primario nel momento stesso in cui gli antibiotici sono entrati nella vita quotidiana degli allevamenti e degli ospedali, creando così una pressione selettiva continua in grado di favorire la sopravvivenza solo dei batteri resistenti.

In tutti i 24 parchi monitorati il gene più comunemente trovato è quello che conferisce resistenza alla sulfadimidina, il principio attivo degli antibiotici sulfamidici, tra i primi ad essere entrato nel mercato decenni fa, e quindi quello che ha indotto una pressione selettiva più duratura. Il vero problema è che il gene si è conservato nel suolo per lungo tempo (complice la scarsa lunghezza della proteina codificata) ed è stato collegato al primo caso di multiresistenza agli antibiotici, scoperto nel 2009.

Questa resistenza alla degradazione e la amplificazione è un problema che sembra battere quello dei "classici" inquinanti. Ad esempio uno ione di mercurio disperso nell'ambiente non diventerà mai due ioni di mercurio; al contrario una volta che il gene viene catturato da una cellula batterica, anche in quei casi in cui non ci sia una immediata pressione selettiva, verrebbe replicato almeno una volta prima della successiva divisione cellulare. Se poi la pressione selettiva è presente, da una copia del genere si passa a valori superiori a 10^9 dopo 30 divisioni cellulari (per le quali sono sufficienti 15 ore in condizioni ottimali).

Il problema è diventato oggi di primaria importanza soprattutto in paesi come la Cina dove la colistina è stata (ed è ancora) ampiamente usata negli allevamenti di suini (sebbene oggi in declino a causa della inefficacia contro molto infezioni) e per la quale ci sono dati sulla transizione del gene verso batteri patogeni per l'essere umano.

Nota. Il meccanismo d'azione della colistina è stato caratterizzato, dopo 70 anni dopo la sua scoperta, solo nel 2021. Il lavoro pubblicato su eLife ha confermato che il bersaglio è LPS su entrambe le membrane pur se la membrana interna ne ha quantità molto limitate. L'effetto netto è la creazione di pori che fanno rigonfiare il batterio

Fonte
- Disparate Antibiotic Resistance Gene Quantities Revealed across 4 Major Cities in California: A Survey in Drinking Water, Air, and Soil at 24 Public Parks
Cristina M. Echeverria-Palencia et al, CS Omega, 2017, 2 (5), pp 2255–2263

 - UCLA researchers find antibiotic-resistant genes in parks in four parks
UCLA/news

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