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Morte in utero. Uno studio inglese cerca di prevederlo

Una stima recente indica che nel Regno Unito una donna ogni 200 tra quelle giunte alla 24ma settimana di gravidanza non darà alla luce un bambino vivo. Una frequenza 10 volte più alta di quella associata alla morte in culla e tre volte più alta della sindrome di Down.
Eppure negli ultimi 10 anni, rispetto alla sindrome della morte in culla (legata alla sindrome del QT lungo) i cui tassi di mortalità sono diminuiti considerevolmente, la mortalità prenatale è rimasta sostanzialmente invariata.

Dato l'impatto emotivo che questo evento comporta e la difficoltà intrinseca di un intervento per salvare il bambino, una delle strade ritenute più promettenti è quella di identificare le donne a rischio, monitorarle e quindi intervenire il prima possibile. Per fare questo Gordon Smith del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell'Università di Cambridge, ha attivato nel 2008 uno studio in cui sono state coinvolte più di 4 mila donne alla loro prima gravidanza. Donne che volontariamente hanno accettato di essere monitorate nel corso della gestazione a partire dalla loro prima ecografia.
Da ricordare che la morte in utero (morte endouterina fetale) in Italia è definita tale  se avviene dopo la 22ma settimana. Un intervallo di tempo che arriva fino ad oltre la 37ma settimana, quando il decesso per complicanze riguarda circa un terzo delle morti in utero.
L'obiettivo minimo che si prefiggeva lo studio era di reclutare entro il 2013 almeno 4500 donne. Obiettivo raggiunto. Le donne, oltre all'ecografia di routine alla 12ma e alla 20ma settimana, sono state sottoposte a prelievi di sangue periodici e a ulteriori ecografie alla 28ma e alla 36ma settimana (in Italia oltre alle prime due è consigliata, in assenza di complicazioni, una terza intorno alla 30ma). Oltre a questo è prevista la raccolta e la conservazione di un campione di placenta al momento del parto. Prelievo giustificato dall'ipotesi attualmente accettata che, in assenza di patologie genetiche nel feto, la causa di morte pre-natale è legata ad anomalie della placenta.
Alla fine dello studio e conclusa l'analisi dei dati, prevista per i prossimi mesi, si spera di potere identificare dei marcatori utilizzabili come segnali di allarme precoci.
Una volta identificate le donne a rischio si potrebbe giocare d'anticipo inducendo il travaglio in anticipo (in sicurezza dopo la 37ma settimana) o monitorando in continuo le ultime fasi della gestazione in modo da captare ogni segno di sofferenza fetale.
Sarà interessante leggere le conclusioni dello studio quando usciranno.

Fonte
- Delivering better ways of preventing stillbirth
University of Cambridge, news




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