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Evoluzione neocorteccia. Ecco il gene a cui dobbiamo il nostro grande cervello

Uno dei grandi quesiti in antropologia evolutiva riguarda gli eventi mutazionali che hanno spianato la strada verso l'Homo sapiens separandoci dai cugini primati più prossimi. Si tratta invero di tante piccole "modifiche" del piano base che hanno reso possibile non solo la vocalizzazione (impossibile per una scimmia parlare anche se ricevesse un trapianto di cervello umano) ma il cablaggio neurale possibile solo con l'ampio sviluppo della neocorteccia (in primis la corteccia prefrontale sede del processo decisionale) e in ultimo della coscienza, un evento non scaturito dalla comparsa di una singola area ma dall'interazione tra molteplici distretti (vedi anche "Genetic Mechanisms Underlying Cortical Evolution in Mammals").

In questo ambito non sono le dimensioni (cerebrali) a contare quanto lo sviluppo di alcune sue parti; le circonvoluzioni della neocorteccia sono assenti in altre mammiferi (che pure la possiedono) e sono solo abbozzate nei primati non umani a noi più prossimi.

Comparazione al CT/MRI tra umani, scimpanzé e gorilla.
Credit: JL Alatorre Warren et al (2019)

Sul tema "dimensionale" ne ho scritto in due precedenti articoli a cui rimando per approfondimenti ("Le dimensioni non contano (2017)" e "Grande cervello, grande potenza? (2015)"

credit: Lucía Florencia Franchini (2021)

Di interesse quindi l'articolo da poco pubblicato su EMBO reports in cui si dimostra che la comparsa del gene ARHGAP11B nel genere Homo (originato dalla duplicazione, e successiva mutazione, del gene ARHGAP11A), ha avuto importanti conseguenze strutturali sullo sviluppo della neocorteccia

Studiare l'evoluzione umana implica l'ovvio confronto con le grandi scimmie (in inglese ci sono due termini, monkeys e apes, usati per distinguere le scimmie piccole, arboricole e con la coda da quelle grosse, terrestri e senza coda) ma la sperimentazione su queste (almeno in Europa) presenta grosse limitazioni pratiche per motivi etici (quindi fortemente regolamentati) oltre che economici (il costo gestionale rispetto ai roditori). Ad aiutare i ricercatori viene l'utilizzo dei cosiddetti organoidi, ovvero strutture cellulari tridimensionali grandi alcuni millimetri, coltivati in laboratorio a partire da cellule staminali (di diverso grado di totipotenza a seconda dello scopo).

Questi organoidi possono essere prodotti da cellule staminali pluripotenti, fatte differenziare in specifici tipi di cellule, come le cellule nervose. In questo modo, è stato possibile produrre organoidi cerebrali di scimpanzé e umani, studiandone le differenze nella programmazione.

Un organoide cerebrale di circa 3 millimetri ottenuto dalle cellule staminali (in rosso) di uno scimpanzé. In verde le cellule modificate per fare aumentare l'espressione del gene ARHGAP11B che danno luogo ad una superficie più ampia
Credit: Jan Fischer
Grazie a questi organoidi si è potuto indagare il ruolo del gene ARHGAP11B che in uno studio precedente era stato associato alle dimensioni del cervello nei primati. Non era però chiaro il ruolo di questo gene nelle dimensioni del cervello umano, una domanda che ha evidenti implicazioni nel suo coinvolgimento nell'evoluzione umana.

Per rispondere a questa domanda (il gene è necessario per l'ingranamento della neocorteccia?), il gene è stato inserito in organoidi di scimpanzé che riproducono. il ventricolo cerebrale  scimpanzé. Il risultato è stato positivo con l'aumento proliferativo delle cellule staminali cerebrali e a cascata  del numero di quei neuroni che svolgono un ruolo cruciale nelle straordinarie capacità mentali dell'uomo.

Sul tema organoidi segnalo un articolo pubblicato a dicembre su Nature in cui mostra come impianti di organoidi cerebrali umani in topo si siano dimostrati capaci di creare connessioni tra i vari distretti. In futuro forse non troppo lontano gli organoidi coltivati in vitro potrebbero essere utili per riparare aree cerebrali danneggiate nei pazienti.

Come controprova, l'eliminazione del gene Arghap11b (fisicamente o funzionalmente) negli organoidi cerebrali umani ha ridotto le dimensioni del tessuto a livello di quello di uno scimpanzé.


Fonte
Human-specific ARHGAP11B ensures human-like basal progenitor levels in hominid cerebral organoids
Michael Heide et al. EMBO Reports (2022)

***

Nell'articolo citato in apertura ho descritto tutta una serie di geni le cui varianti sono state fondanti della specificità umana anche in tempi più recenti come quelli avvenuti durante la speciazione del genere Homo

Un esempio tra tutti, la duplicazione del gene SRGAP2B, avvenuta tre volte durante la storia evolutiva del genere Homo e che ha reso possibile l'aumento dimensionale della corteccia cerebrale. Un passaggio che segnò il distacco de facto del genere Homo da quello Australopithecus (vedi questo articolo per approfondimenti) 
Altro esempio è il gene FOXP2fondamentale per l'apprendimento e la capacità linguistica. FOXP2 è un gene estremamente conservato tra i vertebrati e questo è particolarmente evidente all'interno dei primati. Per capirci la differenza tra la proteina umana e quella nei primati non umani sono solo due aminoacidi (tra noi e i Neandertal la differenza è solo a livello intronico). E sappiamo che è sufficiente una sola mutazione in questo gene per generare forti deficit nella capacità comunicativa (casistica estremamente rara ma nota da un punto di vista clinico grazie alla familiarità del difetto). Vedi l'articolo su PLOS ONE per ulteriori dettagli.





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