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Antidepressivi e il loro (nuovo) utilizzo come anti-tumorali

Un nuovo esempio dell'importante processo di drug repurposing ci arriva dal potenziale utilizzo di alcuni antidepressivi nel trattamento di malattie oncologiche.
Il caso più recente viene da studi condotti sui topi in cui si è osservato che i farmaci appartenenti alla categoria funzionale di inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI) potevano rallentare e perfino bloccare la crescita di tumori pancreatici (notoriamente tra i meno trattabili) e del colon, quando utilizzati in sinergia con l’immunoterapia.
Del riposizionamento farmacologico degli antidepressivi ne scrivevo già nel 2013 e la loro azione antitumorale era già stata osservata nel 2020 (vedi nota a fondo pagina). Alla "nuova vita" di questi farmaci ha fatto da contraltare negli ultimi anni anche il processo opposto con  la scoperta nella di un potente effetto antidepressivo nella ketamina (un anestetico divenuto famoso come droga dei rave party) che si è rivelato utile per il trattamento delle forme di depressione resistenti ai farmaci
image credit: scitechdaily

La serotonina è un neurotrasmettitore, noto anche come l'ormone del buon umore e del rilassamento. Nelle persone che soffrono di depressione i livelli di serotonina nel cervello sono ridotti e i farmaci SSRI hanno proprio la funzione di aumentarne la concentrazione nello spazio intersinaptico attraverso l'inibizione degli appositi trasportatori presenti sulla membrana presinaptica.
Image credit: neurosciencenews.com

La serotonina non ha tuttavia solo una azione cerebrale ma estende la sua influenza a molti altri distretti corporei, tanto è vero che la maggior parte di essa è conservata nelle piastrine. L’intestino (non a caso definito il secondo cervello) è tra i maggiori produttori della molecola grazie al fondamentale contributo del microbioma, il cui ruolo nel nostro benessere mentale è troppo spesso trascurato. Tra gli effetti secondari della terapia SSRI è che all'aumento dei livelli di serotonina nel cervello corrisponde una diminuzione della quantità conservata nelle piastrine.

Che la serotonina potesse tornare utile nella terapia tumorale non è una novità assoluta ma rimaneva nell'alveo della aneddotica clinica più che un dato supportato da studi scientifici. 

È di poche settimane fa la pubblicazione di un articolo che pare fornire i dati tanto a lungo attesi.
Punto di partenza dello studio, l’osservazione che al verificarsi di una carenza di serotonina nei distretti addominali sede di alcuni tumori (pancreas e colon) divenuti resistenti alla terapia anticorpale (immunoterapia), si aveva una resensibilizzazione al trattamento che permetteva di attuare nuovi cicli di terapia, con conseguente rallentamento della crescita tumorale. 
Il meccanismo che lega serotonina e resistenza alla immunoterapia è centrato sulla capacità del neurotrasmettitore di aumentare la produzione di PD-L1 (simbolo che indica ligando della proteina effettrice PD-1), una proteina con attività immunoinibitoria capace di indurre l'anergia negli effettori linfocitari. 
Il meccanismo in sé è assolutamente naturale e serve come segnale per indicare alle cellule di sorveglianza “guarda che siamo cellule normali del tuo stesso organismo, quindi spegniti e non attaccarci”, prevenendo così il rischio di reazioni autoimmunitarie.
Il problema terapeutico si ha quando le cellule tumorali, bersaglio di una particolare forma di immunoterapia nota come checkpoint inhibitor therapycominciano a produrre PD-L1 divenendo così resistenti (o meglio invisibili) ai linfociti.
Nel dettaglio PD-L1 si lega alla proteina PD-1 espressa sulla superficie dei linfociti T citotossici e delle natural killer, bloccandone l’azione.
A sinistra la cellula tumorale "spegne" l'attacco della cellula T nonostante l'avvenuto riconoscimento del bersaglio tumorale a causa del segnale mediato da PD-L1. A destra l'effetto di una terapia basata su anticorpi anti PD-L1 che impediscono il contatto, permettendo così l'attacco distruttivo contro il tumore. 
(Image credit: Joaquin Bellmunt et al (2017))
L'idea era che se la serotonina favoriva la produzione di PD-L1 allora diminuendone localmente il livello si poteva sperare di ridurre a cascata l’espressione di PD-L1 rendendo le cellule tumorali nuovamente bersaglio delle cellule immunitarie.
L'ipotesi è stata messa alla prova e infine confermata in modelli murini.

Il passo successivo sarà mettere alla prova il trattamento in uno studio clinico.

NOTA. Nel 2020 uno studio olandese, pubblicato su Molecular Cancer Therapeutics, aveva osservato una inattesa funzione antitumorale nell'antidepressivo sertralina.
Tra i trucchi usati dalle cellule tumorali per sostentare la propria crescita vi è la produzione di grandi quantità di serina e glicina. Questa produzione stimola la proliferazione delle cellule tumorali a tal punto da renderle dipendenti dalla presenza, non limitante, di questi due aminoacidi. Sebbene anche le cellule sane si avvalgano di tale meccanismo, ne sono molto meno dipendenti e possono "contentarsi" della quantità di glicina e serina assorbita dall'intestino; questo non è invece sufficiente per le cellule tumorali.
Durante la ricerca di molecole in grado di contrastare questa dipendenza, i ricercatori scoprirono che l'antidepressivo sertralina, specie in associazione ad altri trattamenti, bloccava la crescita tumorale inibendo la sintesi della serina, affamando così in modo selettivo le cellule tumorali.

Fonte
- Attenuation of peripheral serotonin inhibits tumor growth and enhances immune checkpoint blockade therapy in murine tumor models
Marcel André Schneider et al. Science Translational Medicine (2021), 13(611)


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