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La scoperta di DNA denisovano in una grotta tibetana

Torno oggi sul tema Denisovani e in particolare sul loro contributo genetico a popolazioni attuali come quella tibetana, in seguito alla scoperta e caratterizzazione di alcuni resti fossili in una grotta tibetana.

Per chi non avesse mai sentito parlare dell'Homo denisova e la relazione genetica con alcune popolazioni che vivono ad alta quota rimando ai precedenti articoli sul tema (Homo denisova. Un nuovo membro da aggiungere all'album di famiglia; L'aspetto dell'Homo denisova; I tibetani e i geni denisovani. Il contributo di un ramo estinto alla vita in quota). Articoli che vi invito a leggere in ogni caso perché nei prossimi paragrafi darò per acquisiti tutta una serie di dati. 

Il possibile aspetto di un Homo denisova. Vedi articolo precedente
(credit: Maayan Harel via sciencemag)

Un ramo laterale della famiglia sapiens afferisce ai cosiddetti Homo denisova, nome derivato dalla località russa in cui i (mini) resti furono scoperti. Come del resto vero per i neanderthal, il nome non è veramente indicativo di una specie (quindi diversa dal sapiens) in quanto, biologicamente, questo avrebbe presupposto l'impossibilità di originare una progenie fertile. Poiché oggi sono innegabili i contributi genetici nei sapiens moderni dei neanderthal (sebbene non in tutte le popolazioni, vedi ad esempio tutti gli africani subsahariani) e dei denisova (popolazioni estremo oriente e in particolare alcune tribù nelle Filippine) è chiaro che il processo di speciazione al momento degli incroci non si era ancora completato (--> Una unione non priva di problemi). Una fortuna per i nostri antenati, che ricevettero geneticamente parte degli adattamenti evolutivi dei cugini "Homo" che avevano colonizzato (e si erano adattati) da millenni alle aree in cui i sapiens iniziavano ad abitare. 

Ora si scopre che una grotta montana, utilizzata da secoli come santuario buddista tibetano, ospitava da decine di migliaia di anni resti denisovani. La notizia viene da un recente studio pubblicato sulla rivista  Science, in cui vengono rivelate nuove informazioni sugli scarsamente caratterizzati popoli che vivono sul tetto del mondo da decine di migliaia di anni e sui processi adattativi a quelle condizioni estreme.

La scoperta della grotta (o meglio dei resti) non è in realtà notizia recente ma va datata al 1980 quando un monaco rinvenne una mandibola fossilizzata nella grotta carsica di Baishiya (sita nella parte nord-orientale dell'altopiano tibetano, nella provincia de Gansu). Il "proprietario" della mandibola è noto come "Xiahe Man".

La grotta diBaishiya Karst in Tibet (credit: Han Yuanyuan / The Conversation)

Solo molti decenni dopo si potè non solo datare la mandibola (160 mila anni) ma anche determinare il proprietario, come un Denisovano. Una scoperta molto importante per due motivi: si ebbe la conferma della presenza dei denisova in altre aree dell'Asia oltre alla grotta russa in cui furono scoperti; si tratta del fossile denisovano più grande finora trovato.

La mandibola denisovana (credit: Han Yuanyuan / The Conversation)

Il vero limite era che in assenza di altri reperti archeologici atti a contestualizzare la mandibola solitaria, sarebbe stato complicato risalire da questo singolo fossile al processo di adattamento che avrebbe contribuito alla sopravvivenza della popolazione tibetana. Era impellente trovare altri reperti nella grotta di Baishiya. Ci vollero decine di sopralluoghi per identificare, sul pavimento roccioso, i primi, indiscutibili, manufatti in pietra attribuibili, con ogni probabilità, ai denisovani.

Questa era solo la prova necessaria per giustificare ulteriori studi specialmente se si considera che la grotta era sacra per i buddisti tibetani e ai ricercatori non era stato permesso scavare (o anche solo raschiare) al suo interno.

Un limite a dire il vero sorprendente se si considera la politica cinese in Tibet e in altre aree periferiche (Yunnan e Xinjiang ad esempio) ben poco propensa ad ogni minima rivendicazione che esuli "dall'interesse cinese". Ma forse, come vedremo poi l'interesse cinese era "monetario" cioè i soldi dell'indotto turistico alle grotte buddiste (vedi su temi analoghi il caso del --> Il parco divertimenti a tema islamico i Cina, pensato per catturare anche quella nicchia di turisti ... ma privo di visitatori).

Ci vollero due anni due anni di discussioni con le autorità tibetane e lunghe trattative con i custodi buddisti del tempio perché i ricercatori ottenessero il permesso di scavare una zona limitata all'interno della grotta e a precise condizioni: di notte e solo durante il gelido inverno quando il flusso di pellegrini e turisti era minimo). I racconti degli studiosi sembrano arrivare da altri tempi con loro che ogni notte devono attraversare il fiume ghiacciato, punteggiati solo dalla debole luce delle lampade portatile, arrampicarsi fino alla grotta per scavare e rientrare prima del sorgere del sorgere del Sole. Così per settimane ma in un clima di entusiasmo per una opportunità unica. Alla fine i loro sforzi furono premiati con la scoperta di manufatti in pietra e ossa di animali sepolti nei sedimenti che formavano il pavimento della grotta.

Il lavoro di campionatura nella grotta (Photo credit: Han Yuanyuan)


Infine, nel 2019, fu consentito loro di lavorare anche di giorno (sempre a dicembre, però) e questo portò a nuovi ritrovamenti riassumibili in manufatti in pietra, ossa di animali e resti di fuochi, tutte prove cruciali che quella grotta era attivamente usata.

Rimanevano molte domande a cui bisognava ancora rispondere: 

  • chi viveva in quella grotta, chi realizzò questi manufatti e quando?
  • Erano denisovani come lo Xiahe Man di 160 mila anni fa, umani moderni o una combinazione genetica di entrambi?

La domanda sul "quando" venne risolta mediante due tecniche di datazione: la radiodatazione al carbonio permise di datare le ossa degli animali (sia che questi fossero cibo per i residenti che occupanti della grotta) e la datazione dei manufatti in pietra. I più vecchi tra questi ultimi risalgono a 190 mila anni fa e a partire da quel momento sedimenti e manufatti lapidei si sono accumulati fino a circa 45 mila anni fa.

La domanda sul "chi" è un poco più complessa perché ricavabile unicamente dall'analisi del DNA e l'unico reperto umano trovato era la mandibola denisovana di cui sopra. Gli antropologi si concentrarono allora nella ricerca di tracce di DNA umano dai campioni dei sedimenti. Il "bersaglio" migliore da cercare era il DNA mitocondriale, "ideale" in quanto presente in ogni cellula in molte più copie di quello nucleare. E in effetti queste tracce, di natura denisovana, vennero identificate nei sedimenti datati tra 60 e 100 mila anni fa. Dato ancora più interessante quello che i campioni più recenti erano geneticamente più simili di quelli vecchi alla impronta genetica degli abitanti della grotta di Denisova, ad indicare che i Denisovani erano più diffusi di quanto si pensasse inizialmente.

Maggiore diffusione equivale a maggiore possibilità che gli incontri con i sapiens che arrivavano dal medio oriente e dalle steppe eurasiatiche siano stati "produttivi"

Credit to the original poster (by Wikimedia Commons)

L'analisi genetica delle popolazioni moderne esclude un loro contributo "universale" come nel caso dei neanderthal (ad indicare che l'incontro avvenne nelle prime fasi della radiazione umana fuori dall'Africa) ma non di meno è rilevabile in alcune popolazioni asiatiche, quelle i cui antenati incrociarono i denisovani nella loro rotta verso sud-est.

Sarà ora importante cercare di scoprire per quanto tempo rimasero "in giro" i denisoviani che abitavano l'area  intorno alla grotta tibetana, in altre parole se sopravvissero abbastanza a lungo da incontrare gli umani moderni (in caso negativo l'incrocio sarebbe avvenuto altrove) giunti in quelle aree tra 30 e 40 mila anni fa. Uno studio non semplice usando solo il DNA mitocondriale, essendo questo di sola origine materna, dato che non sempre riflette la storia completa della migrazione di un popolo. 

Bisognerà attendere il miglioramento della sensibilità delle tecniche analitiche perché si possa ripetere l'analisi usando, sempre che sia possibile, il DNA nucleare prelevato dai sedimenti della grotta di Baishiya.

Articolo successivo sul tema:  L'aspetto dell'Homo denisova

Fonte
- Denisovan DNA in Late Pleistocene sediments from Baishiya Karst Cave on the Tibetan Plateau.
Dongju Zhang et al, Science,  30 Oct 2020: 370 (6516) pp. 584-587
- Fossils in a Tibetan cave reveal how early humans adapted to live in one of world’s remotest places
The Conversation/Scroll.in



E se per una volta si facessero regali scientifici (o educational) sia a giovani ...
... che a meno giovani?

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