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L'attività fisica fa bene alla memoria ma nell'Alzheimer questo meccanismo si inceppa

Mens sana in corpore sano o anche fare attività fisica fa bene al corpo e alla mente

Una frase che ha fondamenti scientifici consolidati. I dati accumulati nel corso degli anni convergono  infatti su due punti:

  • fare attività fisica in modo continuativo fa bene alla funzionalità cerebrale in generale e alla memoria in particolare;
  • i soggetti affetti dal morbo di Alzheimer (AD) hanno disfunzioni nel metabolismo cerebrale che diminuiscono l'efficacia protettiva dell'attività fisica per quanto riguarda le capacità mnemoniche.
Non a caso tra le terapie di mantenimento adottate per i pazienti affetti da AD, un ruolo chiave lo hanno quelle finalizzate a tenere sotto controllo malattie metaboliche, il diabete ad esempio, e massimizzare l'attività fisica.
Entrambi gli approcci hanno dato buoni risultati, anche se purtroppo temporanei
Nota. Non esistono oggi terapie curative per l'Alzheimer ma solo attività tampone che nella migliore delle ipotesi possono solo rallentare l'inevitabile decorso 
Il focus sulla attività fisica è in un certo senso totalmente empirico poiché i meccanismi molecolari che sottintendono al rapporto memoria-attività fisica non sono del tutto compresi.

A fare chiarezza nel campo arriva uno studio pubblicato da poco sulla rivista Nature Medicine che identifica nella irisina, una proteina con attività ormonale che fa da trait d'union tra attività fisica prolungata e i benefici osservati nei pazienti.

La irisina è una miochina, vale a dire un membro della famiglia di proteine secrete dai muscoli e dotate di attività endocrina paracrina. Studi precedenti avevano dimostrato che questa proteina viene liberata in seguito all'esercizio fisico e ha come effetto finale quello di favorire la liberazione di un fattore neurotrofico come il BDNF dall'ippocampo (il luogo in cui si consolida la memoria).

Il lavoro appena pubblicato si è focalizzato sulla misurazione del livello di irisina nel cervello ottenuto dalle autopsie dei pazienti, e ha evidenziato che il suo livello è inferiore a quello nei soggetti di controllo (deceduti per altre cause e non affetti da AD). Il dato è stato confermato in modelli murini, cioè topi predisposti al AD, in cui si osserva come la presenza delle placche amiloidi sia di per sé capace di ridurre il livello di irisina; dato confermato nei topi normali semplicemente iniettando le proteine responsabili della formazione delle placche.
La prova del nove, duplice, è venuta attraverso lo spegnimento genico (topo knock-out) della irisina che ha portato al deterioramento della capacità di formare nuove memorie a lungo termine e all'aggiunta di nuove copie geniche (veicolate mediante vettore virale) nelle cellule neuronali che ha protetto i topi dalla perdita di memoria.

Test istologici hanno cercato a questo di capire se vi fosse una qualche interazione diretta (e con effetti negativi) tra le proteine formanti le placche amiloidi e la irisina. Non si è osservata alcuna interazione diretta ma la irisina attiva una serie di segnali che agiscono direttamente sui meccanismi di formazione della memoria, deteriorati nel AD.
Nello specifico la irisina agisce sul pathway cAMP-PKA-CREB. Livelli medio bassi di irisina non sono sufficienti per compensare anomalie nel pathway ma se ne viene fornita in eccesso diventa capace di prevenire la disfunzione del pathway agendo come un "tampone".
La correlazione tra irisina e attività fisica è stata testata sul campo facendo fare ai topi molta ginnastica, nello specifico facendoli nuotare per 1 ora al giorno, 5 giorni a settimana, per 5 settimane. Il risultato è stato soddisfacente, visto che si è riusciti a prevenire i deficit funzionali nell'ippocampo e nella formazione della formazione. Al contrario topi privi del gene della irisina sottoposti allo stesso training non avevano alcun vantaggio da questa tabella ginnica. 

Di importanza per terapie future sugli umani, l'osservazione che l'infusione per via endovenosa della proteina carente massimizzava l'effetto benefico dell'attività fisica.

I ricercatori si stanno ora concentrando nella identificazione dei recettori della irisina nel cervello, passo fondamentale per disegnare molecole mimetiche in grado di attivare lo stesso pathway e dotate di una migliore biodisponibilità rispetto alla irisina (nello specifico molecole in grado di raggiungere il bersaglio anche se assunte per via orale invece che per endovena o per perfusione locale).


Riassumiamo i punti essenziali del lavoro fatto finora in modo che il messaggio arrivi anche a chi non mastica molto di ricerca:

  1. la irisina è il mediatore tra attività fisica e la produzione di fattori neurotrofici protettivi nel cervello;
  2. i pazienti affetti da Alzheimer hanno bassi livelli di questa proteina (non si sa se questo sia un epifenomeno o una causa diretta) per cui non riescono a sfruttare tutti i benefici neuroprotettivi del fare attività fisica.
  3. "rifornire" di irisina aggiuntiva, topi predisposti alla malattia ripristina gli effetti benefici del fare ginnastica.
  4. Si cerca ora di identificare una molecola in grado di mimare la irisina che sia facile da somministrare e parimenti efficace, in vista di futuribili trattamenti nei pazienti




Articoli precedenti sul tema -->"Dove inizia l'Alzheimer" oppure cliccando i tag --> "Alzheimer

Fonte
- Exercise-linked FNDC5/irisin rescues synaptic plasticity and memory defects in Alzheimer’s models
Mychael V. Lourenco et al, (2019) Nature Medicine, volume 25, pp. 165–175







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