Sviluppare il principio attivo di un farmaco è solo uno dei passaggi chiave prima di iniziare la lunga (e costosa) sperimentazione che porterà, nel 10% dei casi, all'approvazione del farmaco da parte degli enti regolatori (maggiori dettagli su --> "Sviluppo del farmaco e costi".
Tra le molte variabili di cui tenere conto il modo di somministrazione è fondamentale ed è una scelta dettata da farmacocinetica (PK) e farmacodinamica (PD), cioè dalle interazioni bidirezionali corpo-farmaco. Se ad esempio non si vuole che il principio attivo sia metabolizzato immediatamente dal fegato è bene evitare la somministrazione orale e procedere per via endovenosa, cutanea, inalatoria o altra via.
Sebbene PK e PD siano parametri chiave nel determinare la via di somministrazione, ve ne è un'altra che negli ultimi anni è diventata sempre più centrale, cioè scegliere la modalità che, a parità di efficacia, dia "meno fastidio" al paziente e non mi riferisco qui agli effetti collaterali che vengono monitorati e quantificati durante tutto il corso dello sviluppo. Mi riferisco invece alla scelta di una posologia "ottimale" (né troppo frequente, né fastidiosa) che minimizzi il rischio di una mancata aderenza del paziente al protocollo terapeutico prescritto (altrimenti nota come compliance).
Se da un lato è vero che una pastiglia è meno "fastidiosa" di una iniezione, è altresì importante che la pastiglia non sia troppo grossa (osservazione banale ma a volte impossibile da implementare a causa della natura del principio attivo e degli eccipienti che porterebbe la pastiglia ad avere dimensioni improponibili) e soprattutto che non sia necessario assumerla 5 volte al giorno perché sia mantenuta la concentrazione minima utile nel distretto corporeo di interesse. Un problema questo ancora più evidente quando il trattamento riguarda patologie croniche che quindi impongono una compliance costante nel tempo (leggasi anni).
Una scarsa compliance anche solo temporalmente limitata può non solo invalidare in toto il trattamento ma nel caso di trattamenti anti-microbici o anti-neoplastici è il modo "sicuro" per favorire la comparsa di ceppi (o cellule) resistenti a quel dato farmaco, con effetti soprattutto nel primo caso disastrosi a livello di popolazione (vedi la diffusione di batteri resistenti agli antibiotici conseguenza di un errato uso degli stessi negli ultimi decenni).
La ricerca farmaceutica cerca da tempo di affrontare il problema mediante nuove formulazioni di farmaco a lento rilascio utili per coprire intervalli di tempo più ampi e minimizzare la frequenza di assunzione. Un esempio di tale approccio lo si può osservare nel diabete insulino-dipendente, con la sperimentazione di farmaci da assumere una sola volta alla settimana (articoli precedenti sul tema, --> QUI e --> QUI).
All'interno di questo filone rientra il prodotto di cui tratto oggi, una "capsula" che una volta ingerita assumerà nello stomaco una forma stellata, rimanendo qui confinata dove continuerà a rilasciare il principio attivo fino al suo esaurimento. La sua forma impedisce infatti il passaggio da stomaco ad intestino permettendo così di mantenere un rilascio costante nel tempo. Il prototipo è progettato per avere una "usura" controllata, consentendo il transito intestinale (e successiva eliminazione) solo dopo sufficiente usura.
Il prototipo, già testato negli animali per verificarne la sicurezza, nasce nell'ambito degli sforzi per debellare la malaria nei paesi in cui sarebbe impensabile garantire un rifornimento giornaliero di pillole e, cosa ancora più importante, impedire che l'assenza di compliance si traduca nella altrimenti certa comparsa di ceppi di plasmodio multiresistenti
L'articolo apparso sulla rivista Science Translational riporta una descrizione accurata del prodotto e i dati raccolti durante la sperimentazione. La capsula è rivestita di gelatina e una volta giunta nello stomaco si apre per assumere una conformazione a stella; la conformazione, oltre ad impedire il transito attraverso il piloro, permette di racchiudere grandi quantità di agente terapeutico. Il farmaco, intrappolato da un materiale biocompatibile come il policaprolattone è rilasciato in modo controllato mano a mano che l'ambiente acido dello stomaco dissolve l'involucro. Le giunture nelle braccia della stella sono invece costituite di materiale sensibile al pH basico, in grado quindi di dissolversi immediatamente nel caso (improbabile) che la stella riuscisse a passare il piloro e ad entrare nel duodeno prima di essersi consumata (creando potenziali problemi durante il transito intestinale).
I test di sicurezza sono stati condotti sui suini a cui sono state fornite le capsule di gelatina con il cibo. L'analisi con i raggi X ha permesso di monitorare la localizzazione delle "stelle" con il passare del tempo, associandola alla curva di rilascio del farmaco. Ogni capsula è in grado di resistere nello stomaco per circa 10 giorni, senza che vi siano indicazioni di lesioni della mucosa gastrica o segni di ostruzione gastrointestinale. Risultati positivi anche quelli riferiti al dosaggio sierico del principio attivo, risultato costante nel tempo.
I dati ottenuti permettono di ipotizzare un utilizzo clinico futuro di queste capsule, specialmente in quei casi in cui sia difficile (da fare o da far rispettare) assicurare una assunzione temporalmente corretta del farmaco.
Fonte
Oral, ultra–long-lasting drug delivery: Application toward malaria elimination goals
Andrew M. Bellinger et al, Science Translational Medicine (2016) 8 (365)
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