Spesso i toponimi geografici derivano da peculiarità ambientali e lo stesso dicasi per come i nomi dei luoghi si sedimentano nel linguaggio comune al di là dei nomi ufficiali.
Non è infatti un caso se la regione delle Midlands inglesi a nord di Birmingham fosse conosciuta alla fine del XIX secolo come il Black Country. In una epoca in cui Dickens raccontava il degrado delle città immerse in una perenne fuliggine, una guida ferroviaria del 1851 così descriveva all'allora viaggiatore la regione attraverso cui il treno transitava
"Il piacevole verde dei pascoli è qui quasi sconosciuto e i corsi d'acqua, dove i pesci sono una casualità, sono neri e malsani. La piattezza naturale dell'area è spesso interrotta da alte colline di cenere riversata dalle vicine miniere. I pochi alberi sono rachitici e dispersi [nell'area]. Non ci sono molti uccelli da osservare ad eccezione di sparuti passeri dall'aspetto affumicato. Per miglia e miglia un alone grigio si dilata da forni che fumano perenni, da motori a vapore che sibilano e stridono e dal sibilare di lunghe catene, intervallato solo dallo scalpiccio dei cavalli".
Sicuramente non un incentivo a fermarsi o a visitare l'area anche per il più avventuroso tra gli inglesi che pure avevano "nel sangue" lo spirito di esplorazione.
(image @Ilik Saccheri) |
Eppure in questo ambiente malsano e ben poco invitante, la natura stava mostrando la sua capacità di adattarsi; un "esperimento" che non sarebbe sfuggito ai naturalisti dell'epoca che osservarono la comparsa di una variante nero-cenere di farfalla a partire dal ceppo originario chiaro. Non una mutazione indotta dall'ambiente ma una variante (sempre esistita) della farfalla che però in tempi pre-industriali era rara in quanto sfavorita; il colorito scuro (sul fondo chiaro) l'avrebbe resa facile preda degli uccelli.
In un ambiente in cui tutto era ricoperto dalla fuliggine, il colore bianco trasformava un animale in un bersaglio e il colore scuro diveniva invece la miglior arma di sopravvivenza. Ed è così che per una pura e semplice selezione del "più adatto", la variante rara descritta a Manchester nel 1848 divenne mezzo secolo dopo la sola (o quasi) farfalla presente nell'area.
Un processo che si è ripetuto all'inverso un secolo dopo in seguito al miglioramento delle condizioni ambientali. Negli ultimi decenni la farfalla bianca è tornata ad essere la forma con migliore fitness.
La farfalla in questione è la Biston betularia ed è da anni il paradigma di come anche in tempi brevi l'ambiente possa favorire un dato fenotipo rispetto ad un altro.
Mancava tuttavia un tassello per la completa descrizione del fenomeno, cioè l'identificazione del gene responsabile del mimetismo ambientale; l'unica certezza era che la variante dovesse essere a carico di una proteina simile alla melanina (responsabile della pigmentazione della cute). Gli studi genetici condotti negli ultimi anni hanno permesso prima di restringere l'area nel genoma a circa 400 mila nucleotidi in cui erano presenti 13 geni; nessuno di questi tuttavia aveva un qualche ruolo (prevedibile) nella pigmentazione.
Imperterriti i ricercatori hanno continuato la caccia al gene, coronata da successo nel 2016 con l'identificazione di un gene battezzato cortex, ortologo ad un noto gene del moscerino della frutta (Drosophila melanogaster), coinvolto nella regolazione del ciclo cellulare. Dato ancora più interessante, almeno per noi genetisti, è l'origine della variante, riconducibile all'inserimento di uno dei tanti elementi trasponibili (trasposoni) presenti nel nostro genoma, nel primo introne del gene. Sebbene gli introni siano per definizione aree non codificanti la sequenza della proteina, il trasposone può, grazie a sequenze particolari, alterare quantitativamente la trascrizione del gene; risultato netto è che pur essendo la proteina "non mutata" viene prodotta a livelli maggiori del normale.
Problema risolto dunque?
In realtà no in quanto il gene cortex viene espresso nel lepidottero principalmente durante lo sviluppo embrionale e in particolare nelle aree che daranno origine alle ali, il che rende difficile trovare una correlazione tra la sua espressione e l'effetto cromatico prima descritto.
Problema risolto dunque?
In realtà no in quanto il gene cortex viene espresso nel lepidottero principalmente durante lo sviluppo embrionale e in particolare nelle aree che daranno origine alle ali, il che rende difficile trovare una correlazione tra la sua espressione e l'effetto cromatico prima descritto.
Il dilemma è stato risolto grazie ai risultati ottenuti da altri ricercatori che lavoravano con lepidotteri del genere Heliconius, molto studiati da chi si occupa di mimetismo nelle farfalle. In questi insetti il gene cortex è il membro in rapida evoluzione di una famiglia di geni molto ben conservati (indice di un ruolo regolatorio chiave) nota come fizzy, la cui attività regola la dimensione delle scaglie delle ali delle farfalle.
Proprio la dimensione delle scaglie è la chiave per comprendere la variazione cromatica; in assenza di un vero e proprio cromoforo il diverso colore è causato da un effetto ottico. Il colore vivido delle farfalle è infatti conseguenza della diffrazione della luce sulle scaglie, a loro volta ricoperte da strutture nanometriche, disposte secondo un ordine regolare (per approfondimenti --> QUI).
Nei moscerini l'effetto cromatico di questo gene non poteva essere visto in quanto privi di tali nanostrutture.
Una qualunque variazione che alteri dimensioni, densità e superficie delle scaglie ha un effetto sulla colorazione "vista" ed è questo il legame mancante tra il gene cortex e il cambiamento cromatico della betularia.
Proprio la dimensione delle scaglie è la chiave per comprendere la variazione cromatica; in assenza di un vero e proprio cromoforo il diverso colore è causato da un effetto ottico. Il colore vivido delle farfalle è infatti conseguenza della diffrazione della luce sulle scaglie, a loro volta ricoperte da strutture nanometriche, disposte secondo un ordine regolare (per approfondimenti --> QUI).
Nei moscerini l'effetto cromatico di questo gene non poteva essere visto in quanto privi di tali nanostrutture.
Una qualunque variazione che alteri dimensioni, densità e superficie delle scaglie ha un effetto sulla colorazione "vista" ed è questo il legame mancante tra il gene cortex e il cambiamento cromatico della betularia.
Fonte
- The gene cortex controls mimicry and crypsis in butterflies and moths
Nicola J. Nadeau et al, (2016) Nature, 534, pp. 106–110
- The industrial melanism mutation in British peppered moths is a transposable element
Arjen E. van’t Hof et al, (2016) Nature, 534, pp. 102–105
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