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Obesità e numero di copie del gene per la amilasi

L'obesità nella popolazione generale è un problema non più esclusivo di alcune società opulente (e paradossalmente con una distribuzione verticale il cui peso è maggiore negli strati più poveri) ma anche aree geografiche fino a poco tempo fa impensabili. Le cause di tale incremento sono varie ma possono essere raggruppate in due "contenitori" etichettabili con il termine "comportamento" (quantità e qualità dell'alimentazione, movimento, etc) e "biologia" (genetica, patologie, etc).
Non solo colpa dei geni ...
La suddivisione è utile ma di per sé artificiosa dato che è dalla sovrapposizione di uno o più fattori provenienti da ciascun categoria che origina il fenomeno obesità nella stragrande maggioranza delle persone; esempio classico è il connubio tra somatotipo e regime alimentare.
Limitandoci al caso della dieta italo-mediterranea, ricca in carboidrati complessi, uno degli elementi chiave è la variabilità individuale nel digerire i carboidrati (una caratteristica che varia anche con l'età del soggetto); da qui lo spunto per l'articolo di oggi, pubblicato su Nature Genetics da un team dell'Imperial College di Londra.
Nota. Molti dei concetti sottesi al metabolismo dei carboidrati sono ben noti e ampiamente affrontati altrove; evito di essere ridondante e rimando a letture semplificate sull'argomento tra cui questo pdf della facoltà di farmacia dell'università di Bari. Per articoli più completi il classico di D. Mutch (PLosGenet 2006) e il sito cellbiol.net .
L'articolo di Nature è centrato sulla relazione tra peso corporeo e il gene AMY1 codificante per l'enzima amilasi, presente nella saliva e responsabile dell'inizio del processo digestivo dei carboidrati. 
Ogni gene sito sui cromosomi autosomici (cioè i cromosomi da 1 a 22) è presente in ognuno di noi, organismi notoriamente diploidi, in almeno due copie, una di origine paterna e l'altra materna. Da notare l'avverbio "almeno" motivato dal fatto che alcuni geni sono presenti in più di una copia per genoma aploide, fenomeno alla base dell'evoluzione genica e conseguente ad eventi di duplicazione. Sarà poi la pressione selettiva a favorire/sfavorire/essere-indifferente alla sorte dei geni duplicati; in alcuni casi manterranno la funzionalità originaria (raddoppiando così la potenza operativa di quella proteina), in altri casi muteranno fino ad acquisire funzionalità nuove e innovative oppure muteranno fino a spegnersi diventando dei pseudogeni. Il gene AMY1 rientra nel primo caso, quello dei geni "ridondanti".
L'amplificazione del gene AMY1 ha come effetto immediato la produzione di una maggiore quantità di amilasi, evento il cui vantaggio è contingente alle caratteristiche alimentari della popolazione in esame. Nelle popolazioni agricole la cui alimentazione era inevitabilmente ricca di amido (un carboidrato complesso) questa configurazione genomica si dimostrò vantaggiosa mentre era irrilevante (e quindi non favorito) per i popoli dediti principalmente a pesca e caccia o che vivevano in aree ad alta disponibilità annuale di frutta (la frutta è ricca di zuccheri semplici e quindi non necessita di amilasi per essere digerita). Risultato? Il numero di copie del gene nella popolazione umana varia nelle diverse popolazioni.
Proprio dall'estrema variabilità del numero di copie del gene AMY1 sono partiti i ricercatori inglesi quando hanno deciso di verificare se esistesse una qualche relazione tra numero di copie e obesità.
Nota. L'esistenza di una correlazione tra geni e sindromi metaboliche non è una novità. Senza entrare in troppi tecnicismi è da tempo evidente che i discendenti dei nativi americani e gli abitanti delle isole del pacifico hanno una maggiore predisposizione all'obesità rispetto ad un europeo, a parità di dieta. Due sono le ragioni che hanno favorito l'accumulo di combinazioni alleliche che oggi ci appaiono deleterie. La principale è che l'abbondanza di cibo in una società naturale non è quasi mai un dato scontato se non in condizioni ideali di clima e densità di popolazione. Quindi un allele oggi deleterio non lo era nelle condizioni in cui si è affermato. Nel caso specifico dei nativi l'ampia distribuzione di un dato allele può anche essere il risultato del classico effetto "collo di bottiglia genetico" che si verifica quando il numero di "fondatori" di una data popolazione ancestrale è basso: meno fondatori = meno alleli = maggiore probabilità che un allele altrimenti raro, ma presente tra i fondatori, sia più frequente nei discendenti. Ultimo aspetto, che non esclude il precedente, è che il genoma attuale è il risultato della selezione che l'ambiente ha compiuto per decine di migliaia di anni dal momento della migrazione nelle americhe (vedi qui). La variazione dello stile di vita repentino (anche cento anni sono nulla su scala evolutiva) hanno fatto "esplodere" il contrasto tra il "motore" e il carburante usato.
Tornando al lavoro sul gene AMY1, il dato che emerge è che la presenza di un numero di copie del gene inferiore a 4 si associa ad un rischio di obesità 8 volte superiore a quelli che hanno più copie del gene. Per ogni copia aggiuntiva del gene si ha una riduzione di circa il 20 per cento di diventare obesi.
Ancora una volta non è casuale il consiglio dato da molti dietologi di masticare accuratamente il cibo prima di ingoiarlo. Oltre ad indurre più facilmente la sensazione di sazietà si favorisce il lavoro dell'amilasi; maggiore il tempo di permanenza a contatto con la saliva maggiore è il tempo che l'amilasi ha per agire. In un certo senso si mima la maggiore abbondanza dell'enzima nei soggetti con alto numero di copie del gene.
Nella prima fase dello studio sono stati analizzati i dati genetici ottenuti da famiglie svedesi, per un totale di 481 partecipanti, selezionate per la presenza nella progenie sia di un soggetto obeso che di un normopeso. In questa fase si sono identificati i geni (e quindi gli alleli) le cui differenze erano in diretto rapporto con l'indice di massa corporea (BMI). Tra i geni identificati, AMY1 era quello con indice di correlazione maggiore.
Correlazione tra BMI e numero di copie del gene
Nella seconda fase dello studio, si è esteso il campione analizzato includendo circa 5 mila francesi e inglesi, e si è cercato di capire come variasse il BMI al variare del numero di copie del gene.

Philippe Froguel, professore presso la Scuola di sanità pubblica presso l'Imperial College di Londra, e autore dello studio, ha affermato: "Penso che questa sia una scoperta importante in quanto evidenzia l'importanza del "come" digeriamo l'amido e cosa succede ai prodotti più o meno processati quando giungono nell'intestino. Saranno necessari ora studi mirati per capire se sia possibile agire sulla obesità mediante trattamenti e/o diete in grado di favorire la digestione dei prodotti solo parzialmente digeriti nei soggetti con minore amilasi prodotta. Sarà anche interessante capire se esiste un legame tra questa particolare variabilità e il rischio di sviluppare altre malattie metaboliche, come il diabete. Una ipotesi non secondaria dato che i soggetti con basso numero di amilasi hanno maggiore probabilità di essere intolleranti al glucosio".
Mario Falchi, primo autore dello studio e anche lui all'Imperial, chiosa "gli studi precedenti hanno sottolineato l'importanza dei polimorfismi genici nei geni particolarmente attivi nel cervello; geni i cui prodotti condizionano sia il comportamento che i meccanismi regolatori a monte. Noi invece abbiamo affrontato il problema a valle, cioè come il corpo processa i carboidrati complessi".

Nella terza fase dello studio sono stati inclusi circa 700 abitanti di Singapore, in modo da verificare se la correlazione trovata fosse valida sui soggetti non europei.
Il dato è stato confermato.


Fonte
- Low copy number of the salivary amylase gene predisposes to obesity
M. Falchi et al, Nature Genetics (2014).
- Genetic study supports link between carbohydrate digestion and obesity
Imperial College of London, news


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