Nuovi farmaci e costi connessi (parte 2)
(Continua dalla prima parte ---> QUI)
La figura in chiusura della prima parte aveva lo scopo di dare una idea generale del processo che porta alla approvazione di un farmaco. Un processo lungo ed estremamente selettivo, come è facilmente desumibile dalla forma a imbuto: delle migliaia di composti che iniziano il percorso solo uno ne uscirà. E non necessariamente sarà un prodotto vincente (da un punto di vista del ROI, la remunerazione del capitale investito).
Nei prossimi paragrafi capiremo perché superare il processo selettivo non equivale all'essere un prodotto vincente: per essere tale il farmaco dovrà ripagare i costi dello sviluppo (non soltanto i propri ma anche quelli dei consimili falliti strada facendo) e superare indenne la fase critica dell'entrata sul mercato quando si scontrerà con la concorrenza di prodotti già presenti, con la comparsa di effetti collaterali inattesi ed anche con resistenza dei "clienti" a cambiare farmaco.
Iniziamo riproponendo il tema della precedente figura, rielaborata per mostrare aspetti diversi.
La figura, tratta da PhRMA (Pharmaceutical Research and Manufacturers of America),
mostra il processo di selezione mentre si
procede da una fase prettamente chimica (disegno e sintesi della molecola; screening dei migliori candidati) alla fase preclinica (analisi di
laboratorio e su animali) fino ad arrivare alle tre fasi della
sperimentazione clinica, al termine della si potrà presentare la documentazione per l'approvazione finale.
L'aumento dei pazienti comporta un aumento più che lineare dei costi associati, che comprendono la produzione, il personale coinvolto nella sperimentazione clinica (medici, infermieri, di laboratorio, addetti al monitoraggio e al controllo qualità, etc etc) e i costi di gestione generali.
L'entrata nella fase clinica è anche nota come First in Man, a sottolineare il "primo contatto" tra il farmaco e l'organismo umano nella sua complessità e non solo con sue "parti" (ad esempio linee cellulari umane in coltura).Molteplici sono le informazioni riassunte nella figura precedente: da una parte si può osservare la costante riduzione delle molecole in gioco e dall'altra l'aumento del numero di individui testati.
L'aumento dei pazienti comporta un aumento più che lineare dei costi associati, che comprendono la produzione, il personale coinvolto nella sperimentazione clinica (medici, infermieri, di laboratorio, addetti al monitoraggio e al controllo qualità, etc etc) e i costi di gestione generali.
La gestione di questa fase è in genere appaltata alle CRO, entità esterne specializzate in queste operazioni, per cui più efficienti.
La
selezione delle molecole migliori serve proprio per concentrare le
risorse economiche (per definizione limitate) su una o
pochissime molecole candidate. Non è sbagliato associare questo processo ad una drastica scrematura di ogni molecola che presenti dubbi anche minimi sulla possibilità di non superare uno qualunque degli stadi più avanzati della sperimentazione.
Prima una molecola viene bloccata minore sarà il costo sostenuto qualora si riveli non idonea.
Il prossimo paragrafo descrive nel dettaglio le fasi della sperimentazione
Prima una molecola viene bloccata minore sarà il costo sostenuto qualora si riveli non idonea.
Il prossimo paragrafo descrive nel dettaglio le fasi della sperimentazione
- lo sviluppo di un farmaco può essere distinto in una prima fase preclinica, di durata molto variabile comprensiva anche della sperimentazione animale, a cui segue - se tutto va bene - la fase clinica (nettamente più costosa, la cui durata può oscillare tra i 3 e i 12 anni). La fase clinica si distingue in 3 fasi di cui la fase 1 serve per verificare che non vi siano problemi di tossicità inattesi (per l'intervallo di dosaggio selezionato) ed ottenere conferme sulla farmacocinetica. In questa fase si usano volontari sani, tranne nel caso dei farmaci antitumorali in cui il test è condotto su pazienti volontari a causa dell'azione tossica intrinsecamente associata ad una farmaco che deve uccidere le cellule alterate. Una volta accertato che non ci sono effetti collaterali inattesi si passa al test su un ristretto gruppo di pazienti (fase 2) dove per la prima volta si andrà a valutare non solo la sicurezza (sempre centrale) ma l'efficacia; efficacia che, è bene ricordarlo, è sempre riferita al fine per cui il farmaco è stato creato. Usando come esempio il caso di un farmaco nato come terapia di supporto per pazienti oncologici, la misura della efficacia NON andrà necessariamente a misurare la capacità di elimanare il tumore, ma la normalizzazione di parametri come dolore, appetito, nausea, disease-free survival, ... . In caso di esito conforme alle attese, e ottenuta l'approvazione da parte degli enti regolatori, inizia la fase di analisi della efficacia del farmaco su un gruppo di pazienti molto più esteso (fase 3). Solo alla fine di questa fase si avranno a disposizione dati a sufficienza per valutare se esistono gli estremi per chiedere l'AIC (Autorizzazione entrata In Commercio) che certificherà che il farmaco è ragionevolmente sicuro (unicamente in base al rapporto rischio-beneficio) ed efficace per lo scopo prefissato all'inizio della sperimentazione.
Esempio di valutazione dell'intervallo di sicurezza tra dose efficace e comparsa di effetti dannosi.
Quest'ultimo è un aspetto molto importante.
Qualora dovesse emergere dalla sperimentazione che un farmaco sviluppato (ad esempio) per il trattamento dell'acne mostra come tratto inatteso quello di fare crescere i capelli nei soggetti calvi, il dato osservato non potrà essere presentato per ottenere l'approvazione al termine di quella sperimentazione con l'indicazione di "farmaco per la calvizie". Anche se i dati fossero a prova di errore.
I risultati sono legati all'obiettivo fissato all'inizio della sperimentazione. Eventuali scoperte nate durante la sperimentazione, per quanto interessanti, dovranno essere validate in studi clinici disegnati appositamente per rispondere ad una precisa domanda sperimentale. (nel caso precedente "il farmaco al dosaggio x nei soggetti con caratteristiche y fa crescere i capelli?")
Solo un disegno sperimentale con obbiettivi prefissati permette una analisi dei risultati statisticamente affidabile.
Tutto chiaro? Bene, ammettiamo allora che il nostro farmaco abbia raggiunto l'agognata meta dell'approvazione, in quanto i dati presentati sono ritenuti sufficientemente solidi dagli enti preposti a dimostrare l'assunto della sperimentazione. Il farmaco riceve l'autorizzazione ad entrare sul mercato
In realtà c'è un passaggio in più tra l'approvazione ufficiale e l'effettiva entrata sul mercato: la valutazione da parte dell'AIFA - Agenzia Italiana del Farmaco - che confronta il farmaco con altri aventi la stessa indicazione terapeutica già presenti sul mercato nazionale, per valutare se abbia senso "pagarla" e non sia un farmaco metoo.
Ma ammettiamo che il farmaco sia arrivato sugli scaffali, quindi prescrivibile dal medico.
A questo punto inizia de facto la fase 4 in cui verranno raccolte da parte della rete di farmacovigilanza segnalazioni su problemi legati all'utilizzo del farmaco. Con l'aumento esponenziale degli "utenti" (e quindi della variabilità individuale) il rischio, anzi la certezza per molti farmaci, è che effetti collaterali prima meno che esiziali affiorino (vedi sotto).
La fase clinica dura MINIMO 3 anni. Riguardo ai tempi di protezione assicurati dal brevetto vedi i paragrafi successivi
Comincia ora a dipanarsi la discrasia tra un farmaco "funzionante" e il costo complessivo di sviluppo da cui l'azienda potrebbe non rientrare mai, costringendola a vendere il brevetto o a fornirla come "dote" per farsi comprare da una concorrente
I costi associati (sviluppo e sperimentazione) sono interamente coperti dalle industrie. Sebbene questo sia ovvio, viene spesso sottovalutato il suo impatto specialmente se si considerano i rischi di insuccesso associati e l'entità delle cifre in gioco.
Esiste una sola certezza fino a che il farmaco non viene approvato: il costo non inferiore ad un certo valore standard, in altre parole quanto si è perso fino a quel momento. I guadagni sono l'obiettivo sperato che nella stragrande maggioranza dei casi si riveleranno essere chimere. Se da una parte è difficile fare delle previsioni sui costi reali sostenuti con la R&D che inizia con la scelta del bersaglio e la "costruzione" della molecola utile, meglio definiti sono i costi minimi che ciascuna azienda sa di dovere spendere per procedere attraverso ciascuna delle fasi di sviluppo (vedremo i numeri nella parte 3). Costi "certi" a cui si possono aggiungere costi accessori dovuti al prolungamento inatteso degli esperimenti o alla richiesta da parte dei revisori di nuovi dati. Sforare la spesa standard è un evento abbastanza comune quando si è in una fase di sviluppo clinico avanzato; se i dati accumulati fino a quel punto non sono risolutivi né in un senso né nell'altro, l'unica opzione sarà di aumentare il campione in esame allo scopo di raggiungere risultati statisticamente validi.
Quando si è nella fase 3 della sperimentazione, aumentare il numero di soggetti (o peggio rimodulare i dosaggi ripartendo da capo) può voler dire reclutare anche migliaia di nuovi pazienti. Il dilemma nel caso di risultati positivi ma privi della forza tipica di futuri blockbuster è se entrare nella fase successiva oppure interrompere la sperimentazione accettando i costi fino ad allora sostenuti.
La domanda che si pone qualunque board aziendale è se il rischio sia tale da giustificare la spesa aggiuntiva. Una decisione chiave che può, se errata, fare andare gambe all'aria una azienda farmaceutica di medie dimensioni
Ad esempio un farmaco che abbia ricevuto l'OK ai risultati di fase 2 ma la cui sicurezza o efficacia sia già "al limite" o che si ipotizza che molto difficilmente fornirà dati di superiorità rispetto a farmaci già presenti sul mercato, pone l'azienda davanti ad un bivio tra accettare le perdite o continuare a credere in quel farmaco investendo altri soldi.
Non ha senso ovviamente mettere sul mercato un clone dell'aspirina ad un prezzo uguale, a meno che non sia privo degli effetti collaterali dell'aspirina.
La valutazione economica deve essere SEMPRE centrale nell'allocazione di risorse che sono, ripeto, limitate. I soldi allocati per un progetto in corso ripagheranno l'investimento oppure sarebbe meglio usare quei soldi per portare aventi altre molecole promettenti? In altre parole si fa una analisi di costo-opportunità.
Ecco una prima spiegazione del motivo per cui molti farmaci si perdono per strada.
Uno studio effettuato nel 2018 sulle 21143 molecole sviluppate nel periodo 2000-2015, indica in 6,2% il tasso di successo (--> Wong et al.)
Per ogni farmaco approvato, potenzialmente in grado di rientrare (forse) delle spese già sostenute, un numero circa 10 volte superiore si perde per strada. Mi riferisco chiaramente solo alle molecole entrate in sperimentazione clinica.
Quando si parla di costo di sviluppo bisogna in realtà considerare il costo complessivo sostenuto dall'azienda per la sua attività di ricerca e sviluppo. Il costo reale comprende anche quello dei prodotti che non sono mai arrivati sul mercato.
Il prodotto vincente deve coprire i costi di sviluppo generali,
altrimenti viene a mancare la sostenibilità finanziaria. Un
rischio di sbilanciamento finanziario che non è una mera ipotesi contabile.
I farmaci che possono fregiarsi dell'ambitissimo titolo di farmaci-blockbuster (farmaci talmente superiori
rispetto alla concorrenza da conquistare il mercato e generare un flusso
di cassa molto superiore ai costi sostenuti) si possono contare sulle dita di una mano nel carnet di una big-pharma, figuriamoci per una azienda piccola il cui scopo è in genere riuscire a vendersi insieme al farmaco da loro sviluppato.
Nella maggior parte dei
casi, i farmaci approvati garantiranno ricavi appena sufficienti a
coprire i costi nudi di sviluppo.
Se questi sono i rischi a cui va incontro ogni singolo farmaco, che possibilità possono mai esserci che vengano sviluppati farmaci per malattie talmente rare da rendere impossibile che i costi sostenuti siano ripagati dalla vendita del prodotto?
È chiaro che un paziente è una persona e che la malattia è tale sia che
colpisca una persona su un milione o diverse migliaia. Ma questo
ragionamento etico non può essere imposto a enti privati che sopravvivono unicamente se sono in grado di coprire le spese. Imporre loro in modo utopistico di fare ricerca e sviluppo in perdita porterebbe diritti al
fallimento. E una azienda farmaceutica in meno vuol dire una azienda in
meno in grado di produrre farmaci.
Far fronte agli obblighi etici è un carico che solo gli stati possono in teoria sostenere (non sempre); non si può né si deve mai derogare dalla consapevolezza che si tratta di soldi pubblici e che distruggere la ricchezza collettiva in modo incontrollato implica la distruzione dei mezzi economici per tutelare fasce molte più ampie di pazienti.
Per ovviare a
questo dilemma operativo si sono andati via via sviluppando
due approcci complementari. Da una parte le aziende farmaceutiche per sopravvivere ai costi sempre maggiori hanno
di fatto tagliato i costi della ricerca e sviluppo in house
optando per il finanziamento di università e istituti di ricerca in
cambio della compartecipazione al brevetto di eventuali scoperte.
Dall'altra gli stati nazionali e sovranazionali (EU) hanno attivato
incentivi fiscali e finanziamenti a fondo perduto per sostenere le
attività di sperimentazione delle case farmaceutiche per quei farmaci (chiamati orfani) il cui bacino di utenza è estremamente limitato. Un altro valido ausilio viene
dall'attivazione da parte delle autorità regolatorie di corsie
preferenziali per questi farmaci, consistenti in un minor costo di gestione delle pratiche e nella richiesta di un numero di pazienti analizzati ben inferiore a quello standard.
Torniamo ora a quello che avviene subito dopo che il farmaco ha ottenuto la AIC.
- Ho già scritto che anche dopo l'approvazione le insidie non sono finite. Entrare sul mercato implica entrare in un ambiente molto più "vario" rispetto alle condizioni iper-controllate della sperimentazione clinica. Variegato vuol dire eterogeneità delle condizioni (di salute, genetiche, dietetiche, ambientali, di interazioni con altri farmaci non previsti, ... ) con le quali il farmaco si confronterà. Un esempio classico è quello di una persona che dopo avere usato una pomata per i dolori muscolari, scopre con comprensibile preoccupazione, di avere il volto ricoperto da macchie rosse; si scopre poi che aveva assunto anche un antierpetico a causa di una fastidiosa, e non prevedibile, ulcerazione labiale. Si tratta di un chiaro effetto avverso inatteso, non prevedibile a priori dato che i due farmaci non sono tra loro funzionalmente associabili. Quando il numero di questi effetti collaterali imprevisti diventa significativo o semplicemente viene segnalato come "serio" (serio = ospedalizzazione necessaria) il sistema di farmacovigilanza europeo potrà emettere note restrittive nell'utilizzo fino ad imporre il ritiro dello stesso dal mercato o un Black Box Warning. Il tutto nonostante i risultati positivi dei test di sicurezza ed efficacia condotti in precedenza. Proprio perché tali eventi sono veri incubi per le aziende coinvolte, le stesse sono molto più propense a terminare uno studio in fase iniziale piuttosto che trovarsi di fronte al rischio di farlo alla fine quando i costi saranno ingenti.
- Ma ammettiamo che il farmaco non presenti controindicazioni o che queste siano assolutamente compatibili con un rapporto rischio-beneficio adeguato e soprattutto che non siano più serie o numerose di quelle associate a prodotti analoghi già da tempo presenti sul mercato. Il nuovo farmaco ha una sfida ancora più grande davanti: conquistarsi i clienti. Una sfida tra le più difficili in un mercato per tradizione conservatore; pensate solo alla difficoltà di fare accettare ai pazienti un farmaco generico, in tutto e per tutto identico farmacologicamente a quello di marca. Una mission impossible a meno che ovviamente il nuovo farmaco non abbia vantaggi tali da rendere i prodotti preesistenti non più appetibili. Se è privo di tratti anche solo percepiti come migliori, il nuovo farmaco sarà in tutto e per tutto definibile come "me-too" (in italiano anche-io) e ben difficilmente riuscirà a conquistare una fascia di mercato sufficiente per ripagare i costi di sviluppo.
- Qualche paragrafo fa ho accennato ai farmaci blockbluster, vero e proprio sogno ad occhi aperti di un qualunque manager del settore. Ma anche in questo caso si tratta di un nirvana a tempo; c'è infatti l'incubo del tempo che scorre. Ogni farmaco approvato può contare su un periodo di protezione brevettuale della durata di circa 20 anni. ATTENZIONE però! La sabbia nella clessidra non inizia a scorrere quando il farmaco entra sul mercato ma molti anni prima, quando la molecola viene brevettata. Decidere quando brevettare è critico dato che se da una parte aspettare troppo espone al rischio che qualcuno arrivi prima, dall'altra brevettare prima del necessario accorcia il periodo utile di copertura del brevetto. I tempi della clinica e quelli necessari alla approvazione riducono de-facto il tempo "utile" (vale a dire quello in cui il farmaco è presente sul mercato senza emulatori) a circa 7 anni. Nei casi in cui la sperimentazione si sia protratta troppo a lungo (evento comune in fase 3) può verificarsi la temibile circostanza che il brevetto decada prima ancora che il farmaco sia entrato sul mercato. In questi casi le autorità regolatorie forniscono un intervallo di protezione aggiuntivo (periodo di protezione complementare) durante il quale non verranno approvati nel territorio di competenza farmaci identici ... a meno che chiaramente non possiedano caratteristiche superiori (e siano quindi per definizione diversi).
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