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Batteri ad alta quota e nei ghiacci

Un vento batterico in montagna e i "pigri" batteri del permafrost. Due aspetti poco noti sulla biomassa più importante nel nostro pianeta: i batteri.

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Una sana brezza "batterica"
Quando andiamo in montagna e ci inerpichiamo, picozza in mano, fino ad arrivare sulle vette più solitarie del circondario, tutto potrebbe venirci in mente salvo che stiamo respirando una piacevole brezza … batterica.
Niente di preoccupante sia chiaro. Si tratta della sana e vecchia biosfera che pervade ogni area del pianeta, anche le più ostili come le bollenti sorgenti sottomarine (batteri chemosintetici termofili), le scorie di reattori nucleari (dove si trova a suo agio il Deinococcus radiodurans) o i deserti più inospitali del pianeta, caldi o freddi che siano.

©wikipedia
Il Monte Bachelor in Oregon, USA, non è un gigante ma raggiunge i suoi onesti 2800 metri sul livello del mare. Il motivo dell'interesse dei ricercatori è che questa montagna è sita in una zona ottimale per raccogliere campioni di aria trans-pacifica nel suo percorso tra l'alta troposfera e la bassa stratosfera.  
Nota. I microorganismi sono abbondanti nell'alta atmosfera, particolarmente nelle aree sottovento di regioni aride, dove i venti sono in grado di mobilizzare grandi quantità di polveri.
Dall'analisi dei campioni di aria prelevati sulla cima di questa montagna, il gruppo di Peter D. Ward ha ottenuto dati interessanti riguardo la biomassa trasportata annualmente dai venti in arrivo dall'Asia (Cina, Corea e Giappone). Biomassa il cui valore è pari a circa 64 milioni di tonnellate - ogni anno
Grazie alle capacità tecniche oramai estremamente raffinate di coltivare in vitro microorganismi ignoti e alle moderne tecnologie di sequenziamento, che oltre a necessitare di pochissimo materiale biologico si avvalgono di algoritmi che permettono di distinguere in tempi relativamente rapidi i diversi microorganismi presenti, i ricercatori sono stati in grado di identificare nei campioni circa 2800 specie batteriche anche molto diverse tra loro (archeobatteri ed eubatteri). Val la pena sottolineare il fatto che gran parte delle specie identificate sono batteri in grado di formare spore; specie quindi in grado di sopravvivere per molto tempo in condizioni estreme, in attesa che i venti li trasportino in luoghi adatti, per un tempo sufficiente affinchè possano dividersi e nel caso formare nuove spore. 
Oltre ad ottenere dati sul movimento della biomassa a livello atmosferico, questo lavoro ha permesso di formulare anche alcune ipotesi sul ruolo dei microbi nei processi di nucleazione dell'acqua e, di conseguenza, sui processi che portano alle precipitazioni su larga scala.
Non da ultimo questi dati forniscono informazioni sulla capacità dei batteri di diffondersi, come potenziali "inquinanti" aerei, su grandi distanze.

Tutto sommato è meglio non pensarci quando assaporiamo il piacere di avere raggiunto l'agognata vetta.

Fonte
- Intercontinental Dispersal of Bacteria and Archaea in Transpacific Winds
  David J. Smith et al, Appl. Environ. Microbiol.  (2012) 10.1128/AEM.03029-12.


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Vivere nel permafrost. Freddo e sale inducono alla tranquillità
La vita nel permafrost non è facile per nessuno, nemmeno per un batterio che ha fatto di esso la sua residenza. Non solo le temperature sotto lo zero sono la norma, ma la poca acqua liquida disponibile è alquanto salata. Come potrebbe del resto rimanere liquida se non grazie ai sali in essa disciolti?

Pertanto i batteri che qui abitano hanno dovuto adattarsi ad una doppia condizione estrema, freddo e alta salinità, che presi singolarmente definiscono i batteri psicrofili e alofili, rispettivamente. L'interesse per questa flora microbica è oggi sempre più di moda a causa dell'aumento della temperatura globale che ha innescato processi a catena tra cui il progressivo riscaldamento del permafrost con la conseguente liberazione (o semplicemente aumento dell'attività) dei batteri ivi residenti. Un fenomeno ancora più importante dato il progressivo sfruttamento di queste aree, prima inaccessibili (o economicamente svantaggiose).
Ultimo motivo, ma non meno importante, il potenziale di conoscenze biotecnologiche che lo studio di questi batteri adattatisi a condizioni estreme consentirà una volta conosciuti i dettagli del loro metabolismo.
Nota. Alcuni tra gli enzimi che hanno rivoluzionato il modo di fare ricerca negli ultimi 30 anni originano da batteri estremofili. Un esempio su tutti la DNA polimerasi, cioè l'enzima chiave della tecnica nota come PCR (Polymerase Chain Reaction).
Planococcus halocryophilus
Proprio su uno di questi microorganismi isolati dal permafrost artico, il batterio anaerobico Planococcus halocryophilus, è centrato il lavoro pubblicato su The ISME Journal. Per essere più precisi è il ceppo noto come Or1 ad avere caratteristiche uniche: non gli basta riuscire a dividersi fino ad una temperatura di -15 °C,  ma rimane metabolicamente attivo fino -25 °C! Per contro non ama le temperature tiepide, infatti smette di dividersi sopra i 15 °C.
Un batterio che d'altra parte se la prende comoda avendo un tempo di divisione cellulare, alle temperature basse, pari a circa 50 giorni.
Nota. Altri batteri estremofili ancora più lenti sono i "mangiaroccia", noti come endoliti, e alcuni cianobatteri. In entrambi i casi i tempi di duplicazione possono essere uno ogni centinaia o migliaia di anni. Chiaro che si tratta di condizioni di quasi-vita a causa della pressoché nulla quantità di "cibo" presente.
Proprio per capire che strategie, strutturali e metaboliche, abbia evoluto il batterio per riuscire non solo a non congelare (ivi compreso mantenere una certa fluidità della membrana cellulare) ma anche per mantenere la funzionalità enzimatica, i ricercatori si sono concentrati su genoma, fisiologia e trascrittoma:
  • Lo studio del genoma consente di capire quali siano i geni (e le mutazioni) chiave selezionate dall'evoluzione, 
  • il trascrittoma permette di avere una idea dei livelli di espressione di ciascun gene; 
  • la fisiologia integra i dati precedenti in un quadro funzionale. 
Anche in questo caso l'analisi genomica ha fornito uno strumento di indagine fondamentale per cercare di capire i meccanismi chiave di questi organismi. Senza entrare troppo nello specifico, le modificazioni associate al ceppo Or1 riguardano i meccanismi per contrastare l'azione osmotica propria dell'ambiente salino, modificazioni nella composizione lipidica della membrana cellulare e una aumentata risposta allo stress ossidativo.
Mai come in questo caso il detto "il freddo ti conserva bene" è veritiero: i batteri sono sopravvissuti per milioni di anni in questi ambienti estremi al prezzo di una estrema "morigeratezza" riproduttiva e all'accumulo di mutazioni che di fatto li vincolano al vivere in questi ambienti.

(sul tema microbi e permafrost vedi anche un precedente articolo, qui)

I dati che emergeranno nei prossimi anni ci forniranno sempre nuovi dettagli sull'incredibile mondo dei microorganismi e sulla loro capacità di adattamento alle condizioni più estreme


Fonte
- Bacterial growth at -15 °C; molecular insights from the permafrost bacterium Planococcus halocryophilus Or1.
  ISME J. 10.1038/ 2013.8 (2013).


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