L'ascidia, un organismo marino filtratore, ha come tanti altri organismi, a volte definiti a torto superiori, uno scopo principale: si sposta nuotando incessantemente fino a che trova un posto dove sistemarsi per il resto della sua vita. Una volta trovato, si adagia su una roccia e da li non si muove più per il resto dei suoi giorni. Beata lei penseranno in tanti ... forse ... visto che come ultima "botta di vita" fa una cosa curiosa: mangia il suo cervello.
Mmh in realtà non è così strano a pensarci bene. Di pantofolai televisionari cerebro-deficitari anche la nostra specie abbonda.
Tornando seri questa cosa bizzarra è per il professor Daniel Wolpert (Computational and Biological Learning, Università di Cambridge) perfettamente sensata da un punto di vista evolutivo.
"Per me è ovvio, non c'è nessuna ragione di conservare alcuna cosa nel cervello se questa non serve per muoversi … perché questo è l'unico modo per migliorare la nostra sopravvivenza", dice Wolpert. E aggiunge "Credo che capire il movimento è anche capire l'intero cervello. La memoria, l'assorbimento di input esterni e l'elaborazione sensoriale esistono per una ragione: l'azione."
Ed ancora "non ci può essere vantaggio evolutivo … nel percepire il colore di una rosa, se questo non avesse un qualche impatto successivo nella vita".
E bisogna credergli immagino visto che Daniel Wolpert si occupa da anni dello studio di modelli computazionali che insieme a semplici esperimenti comportamentali cercano di fare luce sui meccanismi che permettono al cervello di risolvere i problemi legati al movimento ("action"). Che lo scienziato non sia così fuori strada ci viene suggerito dal fatto che sia stato recentemente premiato con il prestigioso "Golden Brain", premio creato dalla Fondazione Minerva, la cui sede è la prestigiosa Berkeley.
Che cosa avviene nel cervello dunque quando gli esseri umani si muovono? Per rispondere a questa domanda Wolpert usa l'esempio del gioco degli scacchi: "i computer possono generare elaborare ogni mossa possibile ad una velocità incredibile, battendo i migliori giocatori di scacchi umani. Tuttavia se chiedessimo ad una macchina una mossa banale come spostare una pedina da quadrante all'altro della scacchiera, anche il robot più avanzato farebbe più errori di quanti ne farebbe un bambino di 5 anni".
I modelli impiegati da Wolpert e la sua squadra hanno prodotto risultati sorprendenti fornendo uno sguardo sui modelli possibili alla base della nostra matrice mentale. "È emerso che il cervello si comporta in modo statistico, rappresentando informazioni sul mondo circostante sotto forma di probabilità, un processo questo prevedibile matematicamente", dice Wolpert. "Abbiamo dimostrato che questo è un framework molto potente per la comprensione del cervello".
Perché una azione avvenga deve essere inviato un comando di contrazione su alcuni muscoli e di rilassamento su altri. Oltre a questo si instaura un "feedback" sensoriale di automodulazione mediato dalla vista, pelle, muscoli e così via. Sembra semplice, ma in questo flusso di informazioni ve ne e' una grande quantità che è solo rumore di fondo. Gran parte del lavoro del cervello consiste quindi nel filtrare questo rumore diminuendo in tal modo la variabilità nella risposta e quindi aumentando l'efficienza della stessa. Ogni azione si basa su di un equilibrio armonico tra il flusso di dati sensoriali integrati dall''esperienza passata: dato questo fondamentale in quanto permette di pesare il dato sensoriale. Se guardate un bambino che muove i primi passi vedrete questo processo di "fine tuning" in atto.
La memoria è quindi un fattore essenziale che permette al cervello di selezionare l'ipotesi migliore attraverso il rumore, permettendo in altri termini di predire l'esito di un evento. In questo ottica è lecito dire che i nostri cervelli sono costantemente all'opera nel cercare di predire il futuro e di modulare quindi le nostre risposte in modo che esse siano le più corrette possibili.
Molte nostre risposte, i riflessi, sono calcoli di probabilità inconsci: quando giochiamo a tennis colpiamo la palla senza in realtà "vederla", ma ipotizzando che si trovi proprio in quella posizione corrispondente ad una certa estensione ed angolazione del braccio. Se non avessimo bisogno di confrontarci con un mondo in movimento non avremmo bisogno di predire il futuro di uno spostamento e di conseguenza sarebbe uno spreco alquanto opinabile mantenere un cervello.
E la nostra Ascidia? Lei ha già dato e può godersi una pensione di "filtraggio" senza dovere più andarsi a cercare il cibo.
Nessun commento:
Posta un commento