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Le mutazioni di Ebola durante le epidemia permettono di ricostruirne il percorso

Il 24 maggio, Augustine Goba, responsabile del laboratorio di diagnostica al Kenema Government Hospital in Sierra Leone, riceve un campione di sangue prelevato da una donna incinta ammalatasi dopo aver partecipato al funerale di una vittima Ebola in Guinea.

Ventiquattro ore più tardi, i risultati del test sono pronti e confermano che si tratta del primo caso di Ebola nel paese.
Nota. Un esempio di come la diffusione segua logiche in gran parte prevenibili. Perché permettere un funerale pubblico per una persona morta di una malattia infettiva ad alta letalità?
Dopo il primo caso, altri sono seguiti e il team del dottor Goba è riuscito, a rischio della propria vita, a raccogliere materiale sufficiente per caratterizzare il genoma di 99 virus prelevati da 78 pazienti nei primi 24 giorni di epidemia. 
I dati ottenuti costituiscono la più grande raccolta di informazioni genetiche su Ebola e per questo motivo l'articolo ha avuto l'onore di essere pubblicato sulla rivista Science. Senza questi, sviluppare test diagnostici adeguati e, su tempi più lunghi, terapie sarebbe molto più problematico.

L'epidemia di Ebola in Africa occidentale ha già ucciso più di 1.400 persone - tra cui cinque dei co-autori dell'articolo. A loro Goba ha dedicato questo pubblicazione.

Operatori sanitari nelle aree di infezione in Sierra Leone
 Proprio per la estrema pericolosità del virus, prelevare e maneggiare i campioni biologici è stato il vero collo di bottiglia dell'operazione. In altre parti del mondo (e non sono tante quelle abilitate) si sarebbe usata una camera di protezione di classe 4 (detta BL4), l'unica abilitata alla manipolazione di patogeni ad alta infettività e morbilità. In Sierra Leone si è dovuto fare di necessità virtù, minimizzare il rischio attraverso la disattivazione del virus mediante una soluzione chimica. Il campione contenente un virus integro ma non più funzionante è stato quindi spedito al Broad Institute di Cambridge in Massachusetts, dove l'analisi genomica è stata condotta in tempi molto brevi e in totale sicurezza. Ciascuno dei campioni ricevuti è stato analizzato con una ridondanza superiore alle centinaia di volte in modo da massimizzare la sensibilità ed essere in grado di rilevare rarissimi mutanti virali; uno screening molto utile per seguire l'evoluzione del virus mano a mano che si diffondeva.
Nota. Già in un precedente articolo ho ricordato che le infezioni più pericolose sono quelle causate da patogeni "nuovi"; non nel senso letterale del termine ma come microbi che non hanno nell'essere umano il bersaglio naturale. L'ospite naturale di solito sperimenta sintomi trascurabili, risultato di un equilibrio tra attacco e difesa successivo alle migliaia e migliaia di generazioni che sono intercorse dal "primo contatto". Il miglior virus è quello che uccide la cellula che lo ospita. Senza la cellula il virus non ha "vita propria" ed è completamente inerte. Un virus in grado di nascondersi efficacemente nell'organismo dando luogo ad una infezione cronica (e asintomatica) è in grado di produrre progenie per un tempo indefinito. Un virus che provoca la morte della cellula (e dell'organismo) ha davanti a se un tempo molto limitato. Dall'altra parte l'organismo ospite più "armato" per resistere al confronto con il virus è quello che riesce a neutralizzarlo o semplicemente blocca la sua diffusione ai minimi termini (o del tutto).
 Nel passaggio casuale tra l'ospite naturale (ad esempio un roditore o una scimmia) e un organismo parzialmente permissivo si assistono a due fasi. Nella prima si ha che un virus mutante (o che incontra un soggetto geneticamente permissivo) riesce ad entrare e a riprodursi in cellule "nuove" riuscendo a dirottare il suo apparato replicativo. Nella seconda fase, tra la progenie virale prodotta  inizia la selezione di virus sempre più adatti a questa nuova cellula. Un processo che favorisce la comparsa di ceppi sempre più virulenti. L'organismo ospite non è ugualmente veloce dato che ogni volta che produce un anticorpo efficace, il virus controbatte con un mutante.
Il passaggio tra ospite permissivo e non malato ad ospite parzialmente permissivo e malato è riassunto dall'evoluzione dell'HIV con il passaggio da scimmia a uomo, ed è quello che avviene ora con Ebola. Con alcune grosse differenze: Ebola è acutamente letale, non si conosce l'animale che in natura funziona da serbatoio naturale (anche le scimmie sono uccise dal virus) ed ha un tempo di incubazione molto breve.
Dal confronto tra i dati genomici del ceppo originario isolato in Guinea e i discendenti isolati dal dottor Goba si è riusciti a ricostruire il percorso del virus: 
  • portato in Sierra Leone da 12 tra le persone che hanno partecipato al funerale in Guinea, 
  • l'epidemia ora in atto è originata da un unico virus passato da animale al malcapitato di turno, il cosiddetto paziente zero.
Per quanto scritto sopra è chiaro che il virus dell'attuale epidemia non è un discendente delle precedenti epidemie (l'ultima seria è stata 10 anni fa). Deceduto l'ultimo paziente ammalatosi il virus "umanizzato" viene di fatto cancellato e si è dovuto attendere un nuovo passaggio animale-uomo. Il confronto tra il DNA odierno e quello isolato nella precedente epidemia mostra 395 differenze (mutazioni). Nel primo mese dalla nuova epidemia sono comparse 50 nuove mutazioni, nessuna delle quali, apparentemente, è di per se sufficiente a spiegare la anomala diffusione attuale. Non si è assistito in altre parole ad una aumentata infettività o letalità anche se è bene ricordare che entrambi i parametri sono già di loro notevolmente alte; verosimilmente si tratta di mutazioni risultanti da fenomeni di deriva genetica.
Tra i dati osservati vi è che le mutazioni accumulatesi non sembrano avere alterato negativamente (per noi) la sensibilità del virus ai farmaci. Il che è in un certo senso atteso dato che la comparsa di virus resistenti è solitamente associata alla esistenza di una terapia, meglio ancora se non risolutiva. Sulla falsariga di quanto avviene con le terapie attuali contro l'HIV che non permettono la sua eradicazione ma si agisce bloccandone la proliferazione; se il trattamento è discontinuo il virus può riaffacciarsi ed è in questo momento che compaiono i ceppi resistenti. Nel caso di Ebola non ci sono dati dell'efficacia di farmaci sperimentali su esseri umani e quindi non c'è nessuna pressione selettiva in favore di mutanti.
Quello che si è invece osservato è che le mutazioni comparse mano a mano che il virus si diffondeva in Sierra Leone, sono localizzate in aree chiave riconosciute dai kit diagnostici. Una cosa alquanto pericolosa in quanto rende più complesso dotarsi di kit in grado di identificare al 100% un soggetto infetto.

Il rischio di una escalation non può essere minimizzato come afferma Charles Chiu, un infettivologo della University of California a San Francisco. "Più a lungo procede l'epidemia, maggiori sono gli infettati, maggiore è la probabilità che emerga un virus ancora più pericoloso [NdB ad esempio un virus più resistente al di fuori dell'organismo infettato] di adesso".

 Per cercare di contenere il focolaio favorendo l'autospegnimento, si sta procedendo all'invio di forniture e di operatori sanitari, oltre che all'istruzione del personale locale affinché siano minimizzate le possibilità di contagio.



Fonti
- Ebola virus mutating rapidly as it spreads
  Erika Check Hayden - Nature, news  28 August 2014
- Genomic surveillance elucidates Ebola virus origin and transmission during the 2014 outbreak
  Stephen K. Gire et al,  Science,  August 28 2014

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