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Le piante luminescenti sono ora disponibili (in USA)

Da qualche settimana sono in vendita negli USA piante luminescenti ottenute mediante una (tutto sommato semplice) modificazione genetica.
Il costo? 29 dollari. Prodotta dalla azienda biotech Light Bio (Sun Valley, Idaho)
Utilizzo? Casa o giardino visto che si tratta di una petunia (Petunia hybrida), pianta che si adatta bene ad entrambi gli ambienti. Pianta che alla luce ha le classiche caratteristiche di una petunia normale con fiori bianchi mentre al buio mostrano una tenue luminescenza verde, non luminoso (e fastidioso) come una lampada ma un delicato bagliore paragonabile alla luce presente con la luna piena.
Credit: Light Bio
Modifiche genetiche di questo tipo non sono invero una novità. Vi rimando ad un articolo scritto nel lontano 2013 per approfondimenti.
I primi esempi risalgono al 1986 e furono fatti sulla pianta da tabacco (Nicotiana tabacum), molto usata nei laboratori di genetica vegetale, con l'inserimento nel suo genoma del gene della luciferasi (dalla lucciole).
Nota. Questo e altri geni simili da altri organismi sono il "pane quotidiano" in tutti i laboratori di biologia molecolare per visualizzare nelle cellule la produzione e distribuzione di proteine e/o l'espressione genica. All’epoca, lo scopo dello studio era proprio monitorare l'espressione (e valutare quanto fossero controllabili) di particolari geni nella pianta.
Come spesso accade quello che nasce come uno strumento di studio, diviene con il tempo (e il suo diventare routine) una opportunità per creare qualcosa di commerciabile al di fuori dei laboratori. Tra le varie start-up nate proprio per perseguire questa idea, c'era la Light Bio che pensò di realizzare piante con scopi decorativi. Dopo vari anni di tentativi per ottimizzare i risultati (all'inizio le piante brillavano troppo debolmente, per poco tempo e avevano bisogno di "cibo" speciale per alimentare la reazione chimica) il prodotto attuale rappresenta il coronamento - ma anche il punto d'inizio - degli investimenti fatti.

Credo sia importante precisare che l'emissione di luce può essere il risultato di processi molto diversi tra loro. Ad esempio la fluorescenza è la proprietà di alcune sostanze di riemettere ad una lunghezza d'onda maggiore (energia inferiore) le radiazioni elettromagnetiche ricevute. La bioluminescenza avviene invece attraverso reazioni chimiche, nel corso delle quali l'energia chimica viene convertita in energia luminosa (l'esempio classico è la luce emessa dalle lucciole, mediata dall'enzima luciferasi).
Al primo caso appartengono alcuni organismi luminosi oggi disponibili come i GloFish, pesci da acquario disponibili in molte specie e colori, che emettono fluorescenza se esposti alla luce naturale o alla luce ultravioletta.
Image credit & info: inlandaquatics

Al secondo caso appartiene invece la "nostra" petunia che brilla senza avere bisogno di nulla di particolare (luce o nutrienti specifici) grazie a un gruppo di geni originati da un fungo bioluminescente (Neonothopanus nambi) il cui meccanismo è stato delucidato nel 2019
Nello specifico il fungo alimenta la sua reazione di emissione di luce con la molecola di acido caffeico (molecola che nulla ha a che vedere con la caffeina) prodotta in diverse piante. La clonazione dei geni del fungo dentro il genoma della petunia ha reso possibile alla pianta produrre enzimi in grado di convertire l'acido caffeico nella luciferina (la molecola che emette luce) che viene poi riciclata dalla pianta in acido caffeico; un ciclo che consenta una bioluminescenza permanente. 
I ricercatori sono riusciti ad aumentare l'intensità luminosa derivante dalla bioluminescenza selezionando geni da altre specie fungine, sfruttando tecniche di evoluzione diretta per ottenere il miglior risultato.
Ma perché proprio la petunia? La scelta viene dal suo essere una pianta ornamentale molto diffusa e, cosa non meno importante, per ridurre al minimo il rischio ecologico. La specie di petunia usata dall'azienda non è originaria del Nord America e non è considerata una specie invasiva. Quindi le possibilità che i geni modificati si diffondano nelle piante autoctone alterando l'ecosistema sono meno che irrisorie
L'azienda ha optato per non generare una pianta sterile come spesso avviene con le piante modificate proprio perché non ci sono specie selvatiche in Nordamerica. Tale scelta permette all'acquirente di espanderla a volontà il che potrebbe essere contro gli interessi dell'azienda la quale invece rilancia dicendo che contano di mettere sul mercato piante sempre nuove (e a prezzi contenuti) per mantenere vivo l'interesse dei clienti.
La petunia luminosa potrebbe essere paragonata al pomodoro viola (Solanum lycopersicum), i cui semi sono stati messi in vendita all'inizio di questo mese negli Stati Uniti ed è stato il primo prodotto alimentare geneticamente modificato venduto direttamente ai privati.
Image: Norfolk Plant Sciences
In questo caso sono stati inseriti nel genoma del pomodoro alcuni geni di una pianta del tipo bocca di leone (Antirrhinum majus) così da conferire il colore viola, mediato da alti antociani, molecole con importanti proprietà antiossidanti.

Tra i progetti futuri la creazione di piante che producono la luminescenza quando sono in condizioni di stress (ad esempio infezioni, parassiti, siccità, ...) così da informare gli agricoltori in tempo reale grazie alla rilevazione del segnale mediante droni notturni. Si potrebbero anche immaginare città illuminate da piante ... 

Se non vedete il video (––> youtube)


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Informazioni importanti e scientificamente validate sulle tante bufale che circondano il mondo OGM sono ben descritti nei libri di Dario Bressanini (link ad amazon)

Il rospo del deserto di Sonora non è l'unico animale che può provocare allucinazioni

Del rospo "psichedelico", e dei problemi che sta vivendo dopo l'articolo del NYTimes, ne ho scritto in precedenza e lì vi rimando per una trattazione completa.
Oggi amplio un poco il tema trattando di altri animali che, se maneggiati incautamente, danno gli stessi effetti collaterali.

Rana scimmia gigante (Phyllomedusa bicolor)
Habitat: bacino amazzonico; Sud America.
credit: TimVickers
Superfluo ricordare che, essendo un anfibio, il suo nome nulla ha a che fare con i noti animali marini (Cnidaria). Il nome deriva dal greco “phyllo” (foglia o fogliame) e “medousa” (regina o protettrice), quindi significa “regina/guardiana del fogliame”.
La cute produce una secrezione che nella forma essiccata, nota come kambô, e applicata su tagli o bruciature pelle, viene usata da alcune tribù come medicina e/o rituali sciamanici; negli anni si è diffusa anche nelle città fino ad essere proibita non tanto per i suoi minimi (e poco caratterizzati) effetti allucinogeni ma per l'elevato rischio di tossicità.
I dubbi sulla reale azione psichedelica vengono dal fatto che il kambô non attiva il recettore 5-HT2A, una proteina che rileva il messaggero chimico serotonina, come invece fanno le sostanze psichedeliche.
Le secrezioni avrebbero la finalità "rituale" di aumentare la resistenza dei cacciatori mentre la funzione originale (quella evolutasi nella rana) è di provocare nei predatori rigurgito, convulsioni e un cambiamento nella funzione cardiaca.
La composizione della secrezione è ancora poco caratterizzata per quanto riguarda quale fra le varie molecole (circa 200 peptidi) presenti siano i veri effettori

Spugna bucherellata (Verongula rigida)
La spugna bucherellata (traduzione letterale visto che non ho trovato il suo nome in italiano) e alcune altre spugne tra cui Smenospongia aura e Smenospongia echina producono 5-bromo-DMT e 5,6-dibromo-DMT e in quanto tali (la dimetiltriptamina o DMT è un allucinogeno) sono potenzialmente in grado di produrre effetti allucinogeni.
È noto che la spugna bucherellata concentra nei suoi tessuti sostanze chimiche chiamate monoammine dotate di azione neuromodulatrice. Questi composti non solo danno il sapore amarognolo alla spugna (già di suo un dissuasore per i predatori) ma possono anche alterare il comportamento nei pesci cocciuti limitando così il danno per la spugna a piccoli morsi prima di indurre il malcapitato a cambiare dieta.
Uno studio del 2008 sui ratti ha evidenziato una azione antidepressiva per il  5,6-dibromo-DMT mentre il 5-bromo-DMT mostrava proprietà sedative. 
Dato l'attuale interesse per la riscoperta di droghe modificate per uso terapeutico (su tutte l'approvazione della ketamina), non mi stupirebbe scoprire che alcune aziende stanno attivamente lavorando per selezionare prodotti da usare come antidepressivi, ansiolitici o antidolorifici.

Formica mietitrice californiana (Pogonomyrmex californicus)
Credit: Matt Reala
Il veleno della formica mietitrice californiana è costituito da enzimi non noti per indurre allucinazioni ma associati ad essi per come gli indigeni locali le usavano durante i loro rituali. Resoconti etnografici del secolo scorso riportano che le persone inghiottivano centinaia di formiche vive avvolte come palline all'interno di piume d'aquila, cosa che rende più che probabile che venissero morse dall'interno del tratto orofaringeo/esofago (dubito che fossero ancora vive nello stomaco).
Secondo gli studiosi, il dolore associato ad un tal numero di morsi di formiche, associato al freddo, al digiuno e alla privazione del sonno che caratterizzavano quei rituali, innescava allucinazioni e/o visioni mistiche insieme ad intorpidimento nella zona del morso. Uno stato che durava dalle 4 alle 8 ore.
Un morso di una di queste formiche è sufficiente ad uccidere un topo.
Il loro veleno serve come difesa dai grossi predatori, come piccoli mammiferi e lucertole.

Salpa (Sarpa salpa)
Varie sono le specie di pesci che possono causare allucinazioni uditive e visive se mangiati. Tra questi alcuni cavedani, i pesci pagliaccio e la salpa che userò qui come esempio essendo presente nel Mediterraneo.
Credit: Brian Gratwicke
Noto anche agli antichi romani come "pesce dei sogni", fatto che suggerisce i suoi potenziali effetti collaterali dopo averlo mangiato (ittioalleinotossismo). Sebbene rari sono stati documentati casi di intossicazione (Clinical Toxicology, 2006). Tra questi il caso di un quarantenne che dopo avere mangiato la salpa al forno ha in seguito avuto allucinazioni di animali urlanti e di artropodi giganti che circondavano la sua auto; sintomi durati 36 ore con cure mediche.
Non è noto quale sia il (o i) composto responsabile e alcuni ricercatori ipotizzano che si tratti di sottoprodotti derivati dalla dieta del pesce.
Importante sottolineare che questo fenomeno è diverso da altre forme di avvelenamento da pesce, i cui esempi classici sono quello del pesce palla e della ciguatera, entrambi causati da tossine prodotte da microbi simbionti nel pesce o dall'anisakis cioè pesce mangiato crudo e infetto da nematodi. 
All'interno del pesce palla sono ospitati batteri simbionti  che producono la tetrodotossina (TTX), neurotossina che può causare paralisi e morte. La ciguatera invece è causata dall'ingestione di alimenti di origine marina contaminati da una tossina, di origine non batterica, nota come ciguatossina, presente in molti microrganismi (in particolare il dinoflagellato Gambierdiscus toxicus). Può causare diarrea, vomito e debolezza, nonché un disturbo sensoriale inverso, in cui le cose calde sembrano fredde e viceversa. In entrambi i casi non si hanno allucinazioni. 
Rimane da capire se questi allucinogeni presenti nella salpa siano incidentali (dovuti alla sua dieta) oppure fungano da deterrente per i predatori.

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Libro in cui si tratta, con piglio giornalistico/antropologico delle 4 principali piante con attività psicotropa (credit: Amazon)

"La casa" di Spock intorno a 40 Eridani era solo una macchia sulla stella

[Aggiornamento]
Qualche anno fa la notizia (riportata in calce) della scoperta del pianeta di Spock intorno alla stella 40 Eridani. Di pochi giorni fa la correzione dopo una attenta analisi dei dati. Quello che sembrava un pianeta era in realtà solo un analogo delle macchie solari sulla stella

Fonte
- Discovery Alert: Spock’s Home Planet Goes ‘Poof’


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Scoperta la "casa" di Spock intorno a 40 Eridani
Ottobre 2018

La scoperta di un pianeta "quasi" terrestre orbitante intorno alla stella 40 Eridani ha fatto sorridere sia gli astrofisici che i fans della serie Star Trek.
Il motivo è semplice: 40 Eridani fu scelta da Gene Roddenberry, l'ideatore della serie, come il sistema attorno al quale orbitava Vulcano, il pianeta di Spock. Una scelta in verità ben posteriore alla creazione della serie (fine anni '60), esplicitata in una intervista del 1991, ma che non toglie il fun factor della scoperta.
Il pianeta, due volte più grande e di massa 8 volte la Terra, orbita intorno ad un sole che è a sua volta parte di un sistema a 3 stelle.
40 Eridani è abbastanza vicino a noi, dati i suoi 16 anni luce di distanza, ed è sufficientemente luminosa da essere vista ad occhio nudo. Ha un periodo orbitale di soli 42 giorni, quindi è notevolmente vicina alla stella; l'effetto vicinanza è parzialmente attenuato dal fatto che la stella è leggermente più fredda e meno massiccia del nostro Sole.
Per il momento mancano informazioni precise sulla sua atmosfera, sempre che non sia stata spazzata via dalla vicinanza alla stella.
Qualche fanboy potrebbe farmi notare che nel reboot cinematografico il pianeta di Spock è stato vaporizzato, quindi ogni aggancio viene a cadere. Vero, ma da vecchio fan della serie originale, l'appunto non sussiste e mi diverte il pensiero di un pianeta caldo (forse un tantino troppo) come Vulcano proprio dove Roddenberry l'aveva ipotizzato.

Tornando seri, la scoperta rientra tra i molteplici dati che emergono dal Exoplanet Search Project, cioè la catalogazione dei pianeti che orbitano intorno ad altre stelle (3793 confermati al momento in cui scrivo --> qui (sito della CalTech) per i dati aggiornati).
screenshot del portale esopianeti alla Caltech


Fonti
- Super-Earth Discovered in (Fictional) Vulcan System

- Newly discovered planet could be Spock's home world, astronomers say

- The exoplanet that could be Spock’s home world
Nature / news

- Exploring Strange New Worlds: “Star Trek” Planet Vulcan Found


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Un bel prodotto Funko per tutti i trekkies



Funghi allucinogeni per trattare la dipendenza da alcol?

Negli ultimi anni si sono accesi i riflettori sul potenziale utilizzo terapeutico di alcune droghe (naturali o sintetiche) per la terapia in ambito psichiatrico o nelle dipendenze.
Vi rimando sull'argomento ai precedenti articoli sulla ketamina (approvata per la depressione resistente ai farmaci) e sugli allucinogeni in generale.
Ultimo arrivato è uno studio (pubblicato su Brain) che mostra le prospettive di utilizzo della psilocibina, il principio attivo dei funghi allucinogeni, per il trattamento della dipendenza da alcol.
image from myscience.org
Nell'articolo gli autori riportano l'analisi dell'espressione di alcuni geni, noti per essere coinvolti nella dipendenza da alcol, in un'area del cervello chiamata nucleus accumbens. Questa regione svolge un ruolo centrale nella dipendenza, collegando le sensazioni piacevoli della droga alla motivazione a cercarla e ad assumerla.
Tra i dati ottenuti quello forse più inatteso è la lateralizzazione cerebrale negli effetti della psilocibina, con una modificazione dell'espressione di alcuni geni (aumento o diminuzione) nella parte sinistra o destra del nucleus accumbens.
Il nucleus accumbens (NAc) diviso nella parte sinistra e destra, e anteriore/posteriore.
Per verificarne gli effetti i ricercatori hanno iniettato la psilocibina nel NAc di ratti anestetizzati, per valutarne gli effetti sull'espressione genica e in particolare nella produzione dei recettori delle molecole alla base del circuito della ricompensa. Da qui la scoperta della diminuzione dell'espressione dei recettori 5HT-2A della serotonina) solo nel NAc sinistro e, cosa ancora più interessante, un effetto che provocava il dimezzamento dell'assunzione spontanea di alcol (effetto assente se la psilocibina veniva iniettata nel NAc destro).
Gli effetti allucinogeni della psilocibina sono legati alla sua azione sui recettori della serotonina 5-HT2A che vengono iperprodotti dopo l'assunzione.

Prova finale per dimostrare il coinvolgimento di questi recettori 5-HT2A, misurare gli effetti della psilocibina sul consumo di alcol dopo averli "inattivati" usando un bloccante specifico come la ketanserina. A conferma della predizione l'infusione del bloccante nel NAc sinistro eliminava l'effetto di riduzione dell'alcol mentre nessun cambiamento avveniva dopo infusione nel NAc destro.

Tra gli effetti fisiologici indotti dalla psilocibina, l'aumentata espressione nel NAc di ratti alcolizzati, dei recettori della dopamina D2. Poiché sappiamo già che nella dipendenza da alcol, sia gli animali che gli esseri umani mostrano una diminuzione dell’espressione dei recettori D2, questi risultati potrebbero anche spiegare come faccia la psilocibina a contrastare la dipendenza: ripristinando l’espressione di questi recettori.

Il prossimo passo sarà quello di mappare la lateralizzazione degli effetti in modo più preciso e verificare se può essere generalizzata ad altri psichedelici (LSD, DMT, ecc.). In un futuro prossimo si potranno sviluppare trattamenti mirati al NAc mediati da questo allucinogeno per gli alcolisti che non riescono a resistere al richiamo dell'alcol.


Fonte
Psilocybin reduces alcohol self-administration via selective left nucleus accumbens activation in rats.


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