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Lo studio dei batteri nel Rio Tinto ci porta fino a Marte

Microbi terrestri estremofili utili (forse) per spiegare rocce marziane
Alla foce del Rio Tinto, nel sud-ovest della Spagna, l'acqua acida del fiume - tale sia per condizioni naturali che in quanto inquinata da residui di metalli pesanti derivanti dall'estrazione di minerali - si mescola con l'acqua salata dell'Oceano Atlantico.
Il Rio Tinto (image credit: mybestplace.com)
In queste condizioni uniche trovano casa e condizioni ideali dei microorganismi genericamente catalogati come estremofili: prosperano in condizioni di acidità pari a quelle dell’aceto, sono resistenti all'elevata salinità e alcuni di questi sfruttano anche gli alti livelli di metalli, tossici per ogni altro organismo. Questo mix biologico, noto come biocenosi è stato descritto in un recente articolo sulla rivista Applied and Environmental Microbiology, in cui i ricercatori hanno investigato la fonte di energia chimica usata da questi microrganismi, e il loro impatto sui metalli pesanti che arrivano all'estuario del Rio Tinto.

Il Rio Tinto deve il nome alla sua colorazione che in alcuni punti del breve (circa 100 km) percorso raggiunge tonalità da arancione a rosso sangue. 
L’inquinamento qui iniziò molto presto, circa 5.000 anni fa (periodo Calcolitico o età del rame), a causa dell’estrazione mineraria  in quella che oggi è nota come cintura di pirite iberica, un’area ricca di oro, argento, rame, stagno, piombo e ferro (sotto forma di solfuro di ferro). Durante l'estrazione del minerale, il solfuro di ferro entra in contatto l'ossigeno atmosferico e permette ad alcuni microrganismi di ricavare energia ossidando ferro e zolfo. Da qui la formazione di acqua con colore rosso sangue, la cui estrema acidità a cascata favorisce la solubilizzazione dalle rocce circostanti di metalli tossici come manganese, cobalto, nichel e cadmio, dilavandoli poi verso l’estuario.
Durante il processo di ossidazione del ferro, parte di questo si deposita, insieme ad altri minerali, sulla parete cellulare batterica. Quando questi aggregati bio-minerali (cellule e minerali) arrivano all’estuario, l'elevata concentrazione di cloruro dell’acqua marina uccide buona parte dei microbi responsabili di tale trasformazione, il cui posto è presto preso da altri batteri ferro-ossidanti la cui azione provoca la formazione dei minerali di ferro presenti nell’estuario favorendo la precipitazione dei metalli tossici come arsenico e cromo. Alcuni di questi minerali sono infine trasportati al mare vero e proprio.

I batteri che ossidano il ferro nel Rio Tinto sono i veri “produttori” di minerali colorati come goethite, ematite rossa, schwertmannite e jarosite, che abbondano nei sedimenti del fiume. 
Una nota curiosa (e di potenziale interesse in ambito esobiologia tanto da attrarre studiosi nella zona) è che questi stessi minerali sono stati scoperti su Marte dal rover Curiosity, in sedimenti presenti nel cratere Gale.
Il cratere Gale e il punto di atterraggio di Curiosity (credit: NASA)
L’ipotesi formulata è che tali minerali si siano formati in un periodo tra 4,1 e 3,7 miliardi di anni fa grazie a microrganismi simili a quelli presenti nel Rio Tinto, che vivevano in un sistema fluviale (allora molto abbondante).

Per ulteriori letture sul possibile sistema biologico esistito su Marte vi rimando all'articolo da cui è tratta la seguente figura.
Credit: Front. Microbiol.(2018) 



Fonte
- Biogeochemical Niches of Fe-Cycling Communities Influencing Heavy Metal Transport along the Rio Tinto, Spain
Sergey M. Abramov et al, (2022) Applied and Environmental Microbiology


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