Che cosa accomuna la Londra di metà 800, Los Angeles di fine anni '60 e la Pechino attuale?
Un grave inquinamento dell'aria che almeno nei primi due casi è stato "superato" da contingenze socio-economiche (Londra) e da drastiche politiche che hanno tuttavia richiesto decenni per mostrare i primi effetti.
Per il resto si tratta di casi che attengono a situazioni diverse sia come posizione geografica (clima) che dal contesto storico. Sebbene siano (state) caratterizzate dall'essere luoghi economicamente e/o politicamente importanti, l'area metropolitana di Los Angeles con poco più di mille abitanti per km² ha ben poco a che spartire con Hong Kong o la Londra di Dickens.
Nota. Mi riferisco qui non alla Los Angeles propriamente detta ma all'area metropolitana di L.A. che con i suoi 12500 km² copre un'area più estesa delle Marche (9500 km²). La densità aumenta se si prende in considerazione il "core" fatto da Los Angeles-Long Beach-Anaheim, un'area in cui la densità abitativa è maggiore di San Francisco o di NYC.
Nonostante il suo clima temperato e il non essere sede di industria pesante (come i bacini carboniferi degli Appalachi o le città industriali dei Grandi Laghi), un mix che ha minimizzato l'inquinamento da riscaldamento o da processi produttivi, alla fine degli anni '60 Los Angeles viveva avvolta in una nebbia malsana dovuta in primis all'inquinamento automobilistico e all'industria leggera che si innestavano su scarsa piovosità e ventilazione.
L.A. a distanza di 40 anni (credit e dati su --> geoprojectgrp) |
Se nel caso di Londra (dove l'inquinamento era in grandissima parte dovuto al carbone) il miglioramento fu lento e figlio di molteplici fattori tra cui la creazione di una rete di trasporti efficiente che permise ad un sempre maggior numero di persone che risiedevano forzatamente a Londra per lavoro di spostarsi verso la periferia o cittadine vicine ...
Livelli di particolato in µg/m3 a Londra negli ultimi 3 secoli (credit: ourworldindata) |
... nel caso di Los Angeles la svolta avvenne nel 1970 con la legge federale nota come Clean Air Act
centrata sul rigido e progressivo controllo sia delle emissioni
industriali che di quelle degli autoveicoli; atto che venne poi
rinforzato nel 1990 con norme dirette a contrastare le piogge acide e il buco dell'ozono.
Pechino, o meglio la Cina, sono un caso a sé.
Chiunque abbia viaggiato in Cina nell'ultimo ventennio avrà visto come il problema ambientale non sia mai stato qualcosa di particolarmente sentito e non si tratta di una "insensibilità" moderna (ne parlava già Terzani negli anni '60). Solo recentemente le autorità hanno cominciato ad entrare nell'ordine delle idee di dovere affrontare il problema. Non per una improvvisa consapevolezza ambientale ma perché le stime attuali indicano in 1 milione le morti premature e in 38 miliardi di dollari annui i danni causati dall'inquinamento. L'onnipresenza di cittadini dotati di mascherine è un chiaro segno che il problema è reale (vedi --> Pollution in China e l'articolo sul --> South China Morning Post).
Chiunque abbia viaggiato in Cina nell'ultimo ventennio avrà visto come il problema ambientale non sia mai stato qualcosa di particolarmente sentito e non si tratta di una "insensibilità" moderna (ne parlava già Terzani negli anni '60). Solo recentemente le autorità hanno cominciato ad entrare nell'ordine delle idee di dovere affrontare il problema. Non per una improvvisa consapevolezza ambientale ma perché le stime attuali indicano in 1 milione le morti premature e in 38 miliardi di dollari annui i danni causati dall'inquinamento. L'onnipresenza di cittadini dotati di mascherine è un chiaro segno che il problema è reale (vedi --> Pollution in China e l'articolo sul --> South China Morning Post).
Credit: BBC via pinterest |
C'è una differenza importante tra questi tre casi: tutti e tre hanno (avuto) pesanti effetti sulla popolazione locale ma solo il terzo (vedi figura sotto) sta contribuendo in maniera decisa al riscaldamento globale attraverso una quantità di gas serra immessi nell'atmosfera in un decennio paragonabile a quella di tutti i paesi occidentali negli ultimi 50 anni.
Per ingannare il tempo di un viaggio transcontinentale mi sono posto una domanda politicamente scorretta, cioè quanto pesa il nostro (europeo) inquinamento e quindi quale è, al di là della retorica, il vero contributo di investimenti annuali dell'ordine di miliardi di euro quando magari il risultato è di abbassare di mezzo punto il valore locale, se altri paesi continuano ad inquinare. Una domanda tutt'altro che banale se si pensa che i media sono capaci di scrivere paginate sulla non ratifica da parte degli USA di qualche comma di Parigi-2020 ma sottacere sui guasti provocati dai paesi del BRIC.
Nella scienza sono sempre i numeri che devono parlare e non le personali convinzioni o, peggio, ideologie..
Un dato affidabile viene da un recente articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature in cui spicca il seguente grafico.
Un dato affidabile viene da un recente articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature in cui spicca il seguente grafico.
Come detto, sono abituato a guardare i dati prima e poi a leggere le conclusioni nell'articolo perché sono i dati a dovere parlare e non le interpretazioni.
Il grafico è abbastanza chiaro. Sono rimasto però sorpreso dalla frase riassuntiva che campeggia in cima alla figura.
Quello che si evince è che la EU nel suo complesso investe miliardi di PIL per ridurre le emissioni dell'1% in un decennio, un guadagno "mangiato" dalla curva della sola India (che a differenza della Cina è meno esposta al consumo di combustibile fossile per riscaldamento domestico).
Ho virgolettato "sorpreso" perché da qualche anno il gruppo editoriale a cui appartiene Nature ha scelto di occuparsi (come evidente dai suoi editoriali) di questioni politiche o volte al politicamente corretto invece che di scienza pura.Se i numeri dicono chiaramente che le emissioni causanti l'effetto serra a partire dal 2001 (l'anno dell'ingresso della Cina nel WTO) sono maggioritarie ed ammontano a più del doppio del cumulo delle restanti, dall'altra il testo riassuntivo della figura riporta una versione edulcorata che dice che EU+USA+CINA+India sono responsabili di più del 56% delle emissioni globali nell'ultimo decennio. Peccato che in quel 56% i 2/3 siano da attribuire alla Cina e il trend non induce all'ottimismo.
Quello che si evince è che la EU nel suo complesso investe miliardi di PIL per ridurre le emissioni dell'1% in un decennio, un guadagno "mangiato" dalla curva della sola India (che a differenza della Cina è meno esposta al consumo di combustibile fossile per riscaldamento domestico).
Che gli USA figurino tra i cattivi e il leader cinese tra i più convinti sostenitori (a parole) della lotta ai gas serra (ma anche in favore della globalizzazione ... chissà come mai) ha un che di surreale se si usano i numeri come guida.
Il problema delle emissioni e del cambiamento climatico è serio e come tale va affrontato. Poco utile giocare a fare i virtuosi con medaglie virtuali quando i miasmi del vicino di casa (sulla Terra siamo tutti "vicini") superano la staccionata per entrare nelle nostre case.
Non
è mai un buon segno quando i dati vengono"letti" a seconda della
convenienza o dei dettami geopolitici del potente di turno (la Cina che oggi condiziona la politica di molti paesi grazie al controllo dei bond e della bilancia dei pagamenti).
Fonte
- Nations must triple efforts to curb greenhouse-gas emissions
Fonte
- Nations must triple efforts to curb greenhouse-gas emissions
Nature / news (12/2018)
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