Specchio, specchio delle mie brame, chi è il più … autoconsapevole del reame?
La capacità di riconoscersi in uno specchio è considerato da molti studiosi indicatore di capacità cognitive non elementari, e base di partenza necessario per l'empatia, altro tratto associato a funzioni cerebrali complesse.
La sede dell'empatia sembra essere nei pressi della corteccia cingolata anteriore. Studi comparativi miranti a visualizzare quale area veniva attivata durante la visualizzazione di scene in cui era necessario immedesimarsi nelle sensazioni provate da un altro (processo noto come mentalizzazione) hanno evidenziato che nei soggetti affetti da Asperger (la forma più pura di autismo nel senso di meno associata ad altri disturbi a parte la scarsa empatia) non era questa l'area che si attivava ma una adiacente important per i processi logici (Frith & Frith, 2000).
Riconoscersi in uno specchio non è una prerogativa umana sebbene pochi siano i mammiferi in cui è stata certificata.
Ma siamo sicuri che il riconoscere l'immagine riflessa come propria sia veramente indice di consapevolezza del sé oppure si tratta di due fenomeni tra loro distinti?
Uno studio pubblicato da un gruppo di ricercatori cinesi su Current Biology aggiunge nuovi dettagli a questa "intelligenza sottesa" dimostrando che i macachi possono essere addestrati a prestare attenzione alla loro immagine riflessa, cosa che altrimenti non farebbero. Si tratta della prima osservazione in tal senso fatta sulle scimmie.
Tuttavia lungi dal rispondere a vecchie domande, questo studio ne solleva di nuove, in primis sulla capacità cognitiva delle scimmie e a seguire sull'efficacia dello specchio come misuratore dell'intelligenza animale. Una valutazione sintetizzata efficacemente da Gordon Gallup, uno psicologo evolutivo della State University di New York e tra i primi osservatori dell'interazione tra scimmie e specchi in cattività: "il semplice agire come se uno si riconoscesse nell'immagine riflessa dallo specchio non vuol dire essere auto-consapevoli".
Quando un animale vede la propria immagine nello specchio, la sua reazione iniziale è quella di quando vede comparire improvvisamente un'altra creatura: atteggiamenti aggressivi si associano a vocalizzi e ad altri comportamenti tipicamente di classificazione sociale. Proprio il comportamento che Gallup osservò quando mise per la prima volta uno scimpanzé di fronte ad uno specchio. Dopo che ebbe lasciato l'animale in compagnia dello specchio per circa due giorni le scimmie cominciarono a mostrare maggiore attenzione all'immagine riflessa. "Si guardavano l'interno della bocca, e seguivano il movimento della propria lingua riflessa", aggiunge Gallup.
Queste osservazioni indicavano che gli scimpanzé di fatto avevano imparato a riconoscersi.
Queste osservazioni indicavano che gli scimpanzé di fatto avevano imparato a riconoscersi.
Importante menzionare che test "simili" (capacità di riconoscere la propria immagine) sono stati condotti anche su altri animali come delfini, elefanti e corvi. In molti casi si è visto un comportamento che indicava autoriconoscimento, ma i dati sono quasi sempre limitati ad un solo individuo.
Prevedendo lo scetticismo degli altri scienziati, Gallup progettò un test per valutare l'esistenza di un effettivo autoriconoscimento: a distanza di circa 10 giorni dal momento in cui la scimmia aveva cominciato a mostrare a familiarizzare con la propria immagine, questa veniva anestetizzata in modo da poterle applicare (senza che lei se ne rendesse conto) un segno rosso inodore sull'arcata orbitale, una zona a loro invisibile a meno di specchiarsi.
Dopo il risveglio dall'anestesia ed essere nuovamente venute in contatto con lo specchio, la scimmia cominciava prima a toccare la zona colorata annusandosi poi le dita (per capire se fosse sangue?!). Il test, condotto su una dozzina di scimpanzé e su altre scimmie, ha dato risultati molto simili, in particolare sugli oranghi.
Test allo specchio (©Neng Gong/Current Biology) |
Ad esempio due macachi cresciuti per 15 anni in presenza di uno specchio hanno imparato a non prestare attenzione all'altra scimmia nello specchio. Nondimeno sfruttavano appieno i "vantaggi" forniti dallo specchio usandoli come strumento per accorgersi di movimenti sospetti alle loro spalle, prodotti dagli studiosi quando entravano di nascosto nella loro area.
"Prendere atto" non equivale a indifferenza ma "accettazione" del fatto che l'immagine non rappresentava qualcosa di cui valesse la pena occuparsi.
Lo studio prodotto ora dal neuroscienziato cinese Neng Gong ha il pregio di completare le precedenti osservazioni di Gallup con nuovi dettagli comportamentali. La domanda di partenza che si pose Gong era se le scimmie potessero essere addestrate a riconoscere se stesse allo specchio. Per tale scopo mise dei macachi proprio di fronte a uno specchio illuminando un punto del loro volto con un raggio laser fastidioso ma ad energia sufficientemente bassa da non essere doloroso. Ogni volta che la scimmia toccava il punto in cui il raggio le colpiva (ricordo che sono messe di fronte ad uno specchio e possono quindi vedere il punto rosso) ricevevano una ricompensa sotto forma di cibo. Dopo avere fatto questi test quotidianamente per un periodo variabile tra 12 e 38 giorni, 5 scimmie su 7 erano in grado di passare il test a suo tempo sviluppato da Gallup; diventavano cioè capaci da subito di identificare la macchia rossa, molto simile alla luce laser per cui erano in precedenza state condizionate. Erano inoltre in grado di sfruttare lo specchio per esplorare parti del loro corpo altrimenti non visibili.
La conclusione formulata da Neng è che le scimmie possiedono l'hardware neurale per l'auto-riconoscimento ma mancano del software per poterlo usare, cioè le istruzioni che possono acquisire solo dopo una adeguata formazione.
Una visione non condivisa da altri ricercatori che invece propendono per una ipotesi minimalista: la scimmia mette in atto solo quello che gli è stato insegnato durante innumerevoli sessioni.
Un concetto che Gallup riassume con "sarebbe come se io fornissi a qualcuno le risposte corrette di un test di intelligenza. Il risultato ottenuto non potrebbe essere utilizzato per attribuire un certo QI alla persona testata".
Un concetto che Gallup riassume con "sarebbe come se io fornissi a qualcuno le risposte corrette di un test di intelligenza. Il risultato ottenuto non potrebbe essere utilizzato per attribuire un certo QI alla persona testata".
Diana Reiss, una delle ricercatrici coinvolte nei test di autoriconoscimento condotti su elefanti e delfini, sottolinea invece la differenza tra i risultati ottenuti in animali che esplorano spontaneamente uno specchio (quelli da lei condotti) e i risultati ottenuti sulle scimmie dopo molti test ripetuti e poco "spontanei".
In conclusione non vi ancora accordo sui risultati ottenuti con i test sulla immagine riflessa.
- Gong ritiene che sia molto difficile capire se le scimmie abbiano o meno autoconsapevolezza di tale immagine.
- Gallup propende invece che l'auto-riconoscimento degli scimpanzé rappresenti un "germe" di consapevolezza di sé utile per la comprensione dello stato mentale di altri membri del gruppo (alla base di ogni società complessa).
- La Reiss considera tale capacità una proprietà di cervelli sofisticati.
Altri scienziati sono ancora più cauti e sposano le critiche a tali test presentati in un articolo del 1999 pubblicato sulla rivista Animal Behaviour, in cui si afferma che le condizioni in cui sono cresciuti gli animali sono dominanti rispetto ai risultati ottenibili da questi test.
Chiudiamo la parte prettamente scientifica con un video soft sulla reazione di diversi animali delle foreste equatoriali alla propria immagine allo specchio
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Fonti
- Monkeys seem to recognize their reflections
Nature,
- Mirror-Induced Self-Directed Behaviors in Rhesus Monkeys after Visual-Somatosensory Training
Liangtang Chang et al (2015) Current Biology
- Mirror-Induced Self-Directed Behaviors in Rhesus Monkeys after Visual-Somatosensory Training
Liangtang Chang et al (2015) Current Biology
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