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Come la risonanza magnetica funzionale ha permesso di studiare lo stato di coscienza nei pazienti in stato vegetativo

Tutti noi, prima o poi, ci siamo confrontatati con domande sul reale stato di coscienza di soggetti che, in seguito a ictus o incidenti, appaiono totalmente "spenti" anche quando mantengono integre le funzioni primarie come la respirazione, il ritmo sonno-veglia e funzioni complesse come sbadigliare, masticare o deglutire, muovere gli occhi, avvertire i rumori più forti e compiere movimenti involontari a seguito di stimoli dolorosi.
In altri casi invece il soggetto sembra totalmente non responsivo. Non a caso in passato, come ben racconta Edgar Allan Poe, uno degli incubi comuni era finire in uno stato di morte apparente e come tale essere seppelliti. 

Penso sia quindi utile riportare qui una case-story di una decina di anni fa che mostra, soprattutto, le potenzialità di indagine fornite da strumenti come la risonanza magnetica funzionale (fMRI). 

I pazienti in uno stato di incoscienza prolungato rappresentano una sfida importante per le neuroscienze specie se si considera che nelle unità di terapia intensiva di tutto il mondo, la metà dei decessi deriva dalla decisione clinica di sospendere il supporto vitale in soggetti ritenuti cerebralmente morti.
Esistono diversi livelli di disturbi neurologici della coscienza i cui sintomi non sono sempre chiari e facili da diagnosticare con precisione.
Lo stato di coma compare entro pochi minuti o perfino ore dopo gravi danni al cervello causati da ictus, lesioni fisiche, anossia (perdita di apporto di ossigeno) e avvelenamento. Clinicamente il coma viene definito come una perdita prolungata della capacità di svegliarsi: il paziente non può essere svegliato e non mostra segni di consapevolezza. Il corpo continua a mostrare alcune reazioni inconsce e  riflessi come la contrazione della pupilla in risposta alla luce intensa rimangono in genere intatti; i centri di controllo (chiamiamola pure parte inconscia del cervello) situati nel profondo del tronco encefalico, rimangono funzionali e questo spiega (tranne nel caso di lesioni cervicali) la permanenza sia della funzionalità respiratoria che del ritmo sonno-veglia.
Al contrario la morte cerebrale è uno stato diverso e irreversibile, caratterizzato da una totale assenza di riflessi del tronco encefalico, di respirazione e di un segnale EEG piatto. Il metabolismo corticale e la perfusione del sangue al cervello scompaiono, portando a una rapida degenerazione e morte dei neuroni.
La maggior parte dei pazienti in coma "naturale" (cioè non indotto da farmaci) può uscirne entro giorni o settimane e il primo segno di tale percorso (ma non sufficiente da solo) è il ritorno del ciclo sonno-veglia. L'uscita definitiva dal coma si ha con il ritorno di coscienza, capacità di comunicazione (anche solo parziale) e comportamento intenzionale.

Tuttavia, a volte il recupero si ferma in uno strano stato in cui sembra esserci "presenza" senza apparente consapevolezza. In questi casi il paziente ogni giorno si sveglia ma rimane insensibile e inconsapevole, segno distintivo dello stato vegetativo (VS). Il paziente può fare movimenti facciali irregolari che sembrano coscienti ma non del tutto coerenti con la risposta a diversi stimoli esterni.
Se sono presenti risposte limitate e intermittenti che suggeriscono presenza di comprensione e volizione, si parla di “stato minimamente cosciente” (MCS), che permette di stabilire una qualche forma di comunicazione.
Stato ben più problematico è la “sindrome del lock-in”, causata in genere dalla disconnessione tra la corteccia e il midollo spinale, che lascia intatta la coscienza ma chiusa ogni via di comunicazione. Il paziente si ritrova imprigionato in un corpo paralizzato, incapace di muoversi o parlare. Solo piccoli movimenti oculari e battiti di ciglia, controllati da percorsi neuronali separati, consentono loro di comunicare con il mondo.
Nel 2006, il neuroscienziato britannico Adrian Owen rilevò uno stato di coscienza ancora più "nascosto" in una paziente che mostrava tutti i segni clinici di uno stato vegetativo completo; sebbene l'analisi cerebrale indicasse la presenza di attività, questa rimaneva del tutto occultata al mondo esterno perché anche il movimento delle palpebre era bloccato. Grazie al lavoro di Owen è stato possibile dimostrare l'esistenza di una condizione peggiore della sindrome del lock-in: essere coscienti ma privi di alcuno strumento per comunicare con il mondo esterno.

La paziente studiata era una giovane donna che in seguito ad un incidente stradale aveva riportato danni al lobo frontale. Cinque mesi dopo il trauma, nonostante un ciclo sonno-veglia integro, non c'erano segni di miglioramento (assenza di sensibilità/coscienza/movimenti) ad indicare uno stato vegetativo permanente.
Fu solo durante una scansione cerebrale mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI), eseguita come parte di un protocollo di ricerca per monitorare lo stato della corteccia nei pazienti in stato vegetativo, che i medici scoprirono che quando la donna "sentiva" qualcuno parlare si attivava l'area cerebrale preposta alla comprensione (elaborazione del parlato, analisi delle parole e integrazione delle frasi).
Il dato portava con sé la domanda se la paziente capisse le frasi o se era l'eco di un meccanismo automatico che non portava ad alcuna "consapevolezza" di quanto ascoltato.
Per rispondere al quesito, Owen sviluppò un test in cui venivano formulate frasi per trasmettere istruzioni complesse come “immagina di giocare a tennis”, “immagina di visitare le stanze della tua casa” o “rilassati”. Nelle persone sane, quando immaginiamo tali attività, il cervello si illumina come se le stessimo effettivamente svolgendo mentre in soggetti privi di ogni barlume di coscienza al più si attivano le aree preposte alla trasmissione del "suono" nella corteccia uditiva.
L'attività cerebrale della paziente rispondeva invece in modo coerente con la capacità di immaginare l'azione richiesta. Quando le fu chiesto di immaginare di giocare a tennis, ad attivarsi era l'area premotoria, che si disattivava prontamente se le veniva detto di sospendere. Se la richiesta era di ripercorrere mentalmente il tour di casa sua, ad attivarsi era il giro paraippocampale, area coinvolta nella rappresentazione dello spazio. Come controllo si eseguì lo stesso test su volontari privi di lesioni cerebrali.
Credit: Owen et al.
L'avvocato del diavolo (fondamentale in ogni messa alla prova di una ipotesi) imponeva di escludere che, senza tirare in ballo lo stato di coscienza, era si trattasse solo di una risposta automatica stimolata dalle parole “tennis” e “navigare”, capaci di attivare circuiti istruiti alla risposta quando la paziente aveva visto/svolto tali attività. Per confutare la critica Owen analizzò l'attività cerebrale di individui sani mentre ascoltavano le stesse parole decontestualizzate dalle istruzioni: entrambe le parole attivavano risposte simili tra loro ma del tutto diverse da quelle evocate quando le parole erano associate ad istruzioni.
I risultati indicavano ora chiaramente che in presenza di istruzioni specifiche, la paziente faceva molto più che reagire automaticamente a delle parole: pensava seguendo le istruzioni ricevute. Evidenza questa che non si trattava di coma vegetativo.
Era questa la prima volta in assoluto che si riusciva a comunicare con una persona in questo stato.

Alcuni anni dopo si presentò ad Owen un caso simile in un uomo, Scott, in stato vegetativo da 12 anni in seguito ad un incidente automobilistico. Un caso che il medico ha poi descritto con parole commosse in un articolo apparso sul Guardian, quando (ripetendo l'esame descritto sopra) dopo avergli fatto la domanda “Senti dolore? Se no, immagina di giocare a tennis”, sul monitor comparve l'attivazione dell'area premotoria. Una informazione che fece piangere (dal sollievo) tutti i medici astanti
Immaginate se avesse risposto SI (nessuna attivazione della corteccia premotoria). Avrebbe significato che Scott stava sperimentando da 12 anni un dolore continuo senza la possibilità di segnalarlo.
Nei mesi successivi a questo primo esame, a Scott furono poste molte altre domande con lo scopo preciso di cercare di migliorare il più possibile la sua qualità della vita. Tra queste se gli piacesse guardare le partite di hockey in tv visto che prima dell'incidente era un appassionato (ma era passato un decennio da quei tempi). La sua risposta fu affermativa.
Un secondo gruppo di domande serviva per rivelare a Scott quanto più possibile sulla sua situazione e cosa ricordasse di quanto avvenuto dopo l'incidente. Domande meno centrate sulla persona Scott e più sul cercare di comprendere le sensazioni e il grado di consapevolezza di persone in questo stato. Capire lo stato mentale di persone in questo limbo era incredibilmente importante, perché nessuno conosceva ancora le risposte e, come si è scoperto, alcune delle ipotesi fino ad allora prese per buone fossero completamente errate.
Owen ricorda come dopo aver letto di pazienti "congelati" in questa zona grigia, i commenti fossero tutti del tipo “dubito che abbiano la percezione del passare del tempo”, “probabilmente non ricordano nulla del loro incidente”, o anche “dubito che abbiano la consapevolezza della situazione in cui si trovano”. Le risposte fornite da Scott provarono esattamente il contrario. Ad esempio sapeva dire esattamente che anno fosse (il 2012, e non il 1999, l’anno del suo incidente), di essere in ospedale e che il suo nome era Scott, conosceva il nome dell'infermiere che si occupava di lui (mai visto prima dell'incidente) il che dimostrava che il circuito della memoria (e di creare nuove memorie) fosse funzionante.
Non furono all'epoca dello studio formulate domande più controverse tipo “vuoi ancora vivere?” per ragioni giuridiche. L’enigma etico sollevato dagli studi iniziati da Owen è che se un paziente dimostra una qualche forma di coscienza, passa dalla categoria “possibilmente autorizzato a morire” alla categoria “generalmente non autorizzato a morire”. È illegale in gran parte dei paesi sospendere le cure a questi pazienti anche se questi chiariscono che è quello che volevano
Owen morì un anno dopo a causa di complicazioni mediche derivanti da infezioni, molto comuni in quei pazienti costretti in un letto d'ospedale per anni. Ma con la "soddisfazione" di avergli aperto una finestra di comunicazione dopo anni vissuti senza nessuna possibilità di comunicare con altri.


Quanto raccontano ben dimostra il contributo fornito dalle tecnologie fMRI nella comprensione della vita mentale delle persone intrappolate nello stato di lock-in. Da quel primo studio, migliaia sono state le scansioni effettuate sui pazienti in coma scoprendo (una stima fornita da Owen) che circa il 20% delle persone in stato vegetativo sono in realtà pienamente coscienti e erroneamente considerate in stato vegetativo da molti anni.


Fonti
Detecting awareness in the vegetative state
AM. Owen et al. (2006) Science 

The Guardian, 2017

- The Life Scientific - Adrian Owen on scanning for awareness in the injured brain - BBC Sounds


- The Search for Consciousness
Owen's Lab. (PDF)

Confronting the grey zone after severe brain injury
Owen's Lab. (PDF)

- Neuroscience: The mind reader

David Cyranoski (2012) Nature 




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