Se nel precedente articolo abbiamo esplorato la frontiera dell’editing genetico dei batteri per renderli resistenti ai virus, oggi torniamo a come utilizzare i virus batterici (batteriofagi o anche solo fagi) per distruggere i superbatteri.
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Nonostante il nome, i superbatteri non sono il prodotto di qualche modifica di laboratorio ma un fenomeno naturale che accomuna vari tipi di batteri, cioè la resistenza contemporanea a molti antibiotici anche di classi diverse. Il fenomeno nasce dalla capacità dei batteri di scambiarsi informazioni genetiche (in genere sotto forma di plasmidi), tra cui anche fattori di virulenza, per cui un batterio può diventare resistente a più antibiotici senza essere mai stato esposto prima ad essi, quindi al netto del canonico processo di selezione naturale. In presenza di condizioni opportune, come un utilizzo massiccio ed indiscriminato di antibiotici, la diffusione di tali resistenze può espandersi da una sparuta minoranza di batteri alla quasi totalità di alcuni ceppi (vedi il batterio responsabile della tubercolosi)
La scoperta di cui tratto oggi nasce da uno studio condotto su Acinetobacter baumannii, un batterio gram negativo al primo posto nella lista dei “cattivi”, responsabile di molte infezioni ospedaliere.
I ricercatori erano alla ricerca di un fago in grado di colpire questo batterio e quale posto migliore in cui cercarlo che nelle acque reflue in cui il batterio prospera? Dall’analisi in laboratorio di vari isolati furono così identificati due fagi adatti allo scopo, ΦFG02 e ΦCO01, capaci di eliminare i batteri in coltura.
Purtroppo il risultato era solo di breve durata; solo poche dopo il trattamento cominciarono ad emergere dei batteri resistenti ai virus. Tutto inutile? No perché a questa nuova resistenza si affiancò la rinnovata sensibilità a molti antibiotici a cui prima del trattamento i batteri erano resistenti, rendendoli adatti alla terapia antibiotica.
Cosa era successo?
Acinetobacter baumannii, come tanti altri batteri (sia gram negativi che positivi), è dotato di un rivestimento esterno polisaccaridico noto come capsula che lo protegge dai nemici esterni e favorisce l’adesione alle superfici (non a caso è una componente essenziale dei biofilm).
I batteriofagi qui testati, usano la capsula come punto di adesione e di ingresso nel batterio. Una volta che i batteri si “accorgono” che ci sono fagi in azione spengono la produzione della capsula rendendosi nuovamente invisibili al virus. Tuttavia la capsula è anche uno dei modi con cui il batterio impedisce agli antibiotici di arrivare a contatto e quindi di agire; niente più capsula e niente più barriera all'azione degli antibiotici.
Nota. Questo funziona solo per la resistenza agli antibiotici agente creando "ostacoli" all’assorbimento, e non alle tante basate su meccanismi enzimatici che distruggono l’antibiotico (ad esempio la beta-lattamasi contro le penicilline).
Nei test condotti il trattamento con i fagi ripristinava la sensibilità ad almeno 7 antibiotici a cui prima il batterio era resistente. Sufficiente per aprire una opportunità terapeutica che dovrà ora essere esplorata con test sugli animali e poi in clinica.
Fonte
- Bacteriophage-resistant Acinetobacter baumannii are resensitized to antimicrobials.
Nature Microbiology volume 6, pp 157–161 (2021)
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