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La University of California rompe con Elsevier

La University of California (UC) cancella gli abbonamenti alle riviste edite da Elsevier. 
Una notizia apparentemente irrilevante nel merito e come portata solo se si ignorano due aspetti:
1) la UC comprende 10 università californiane tra le quali top come Berkeley, UCSF e UCLA.
2) Elsevier, insieme a Wiley e Springer, è tra i giganti dell'editoria scientifica. Il loro impatto nella vita quotidiana di uno scienziato è molto superiore a quella di un editore classico in quanto il lavoro di ricerca, per essere diffuso e quindi attribuito, deve passare  attraverso le forche caudine della pubblicazione su una delle tante riviste da loro gestite.

La decisione di cancellare gli abbonamenti alle riviste (per un valore sottostante non secondario dato il numero delle riviste e il costo dell'abbonamento) va inquadrata all'interno del conflitto in corso da qualche anno tra chi fa ricerca e chi "usa" gli articoli come mezzo di business.
Scontro impari in quanto sbilanciato tra chi "è obbligato dal sistema" (vedi sotto) a pubblicare e chi, invece di fungere tra tramite tra i ricercatori in ogni dove diffondendo la conoscenza, impone ad università, biblioteche e centri di ricerca, elevati costi di abbonamento per potere accedere alla rivista (digitale o cartacea che sia). 
Se si pensa che il numero di riviste più o meno specializzate "essenziali" è, solo in ambito biologico, di alcune decine e che a queste vanno aggiunte riviste ultra-specializzate, si arriva facilmente al centinaio. Un costo "obbligato" se si vuole permettere ai propri dipendenti/studenti/affiliati di accedere alle novità del settore e ad articoli "di archivio". Non si tratta solo di "letture" ma di uno strumento essenziale per orientare l'attività di ricerca.
Il succo del problema può anche essere visto in modo ideologico considerando che la scienza necessita di comunicazione in tempo reale (e non dopo mesi) perché possa avanzare ed essere efficiente, evitando di buttare soldi e tempo per rifare qualcosa già fatto o per percorrere una strada dimostrata essere inutile da altri. Altrimenti il rischio reale è che solo i megaistituti possano accedere ai risultati ampliando così il già esistente gap tra istituti e paesi con minori risorse economiche.

Altro aspetto importante è che a differenza di altri media non c'è nemmeno la scusa dei costi sottostanti per pagare i giornalisti visto che qui gli articoli sono scritti da ricercatori e valutati da altri ricercatori su base gratuita. Inoltre il costo della stampa è un non-problema in un mondo in cui tutto dovrebbe essere digitalizzato e il supporto cartaceo è semmai un lusso da pagare. Ci sono evidentemente costi redazionali e di editore ma nemmeno lontanamente paragonabili a quelli, ad esempio, del NYT.

Che non sia una lotta "di settore" lo si evince dalla presa di posizione della Germania e di altri paesi che hanno cercato di calmierare i costi cercando di imporre abbonamenti su scala nazionale (tra stato ed editore) in modo che tutti gli istituti (ma anche i privati cittadini) potessero accedere "gratuitamente" aumentando così la competitività del sistema. Ogni studioso tedesco, che appartenga al Max Planck Institut o ad un ente di ricerca secondario della Foresta Nera, avrebbe così uguale accesso agli articoli che, ripeto per loro natura, devono essere di dominio pubblico.
L'iniziativa è stata accolta e rilanciata dalla EU che ha proposto il cosiddetto Plan S, una iniziativa per l'accesso libero ai contenuti dell'editoria scientifica nel giorno stesso in cui avviene la pubblicazione (oggi l'embargo è di almeno 6 mesi o indefinito in molti casi con un numero risibile di articoli open-access da subito). Il Plan S ha ricevuto il sostegno (morale e economico per i costi da sostenere) da fondazioni come la Wellcome Trust e quella di Bill Gates.
Una iniziativa che ovviamente è fortemente contrastata dai colossi dell'editoria e messa in sordina dalle consorelle generaliste (quelle che in Italia vivono, per inciso, di finanziamenti sullo stampato - NON sul venduto).

Ma vediamo cosa ha detto Robert May e Janet Napolitano, decano del senato accademico e presidente della UC, rispettivamente :
Knowledge should not be accessible only to those who can pay. The quest for full open access is essential if we are to truly uphold the mission of this university (… ). Open access publishing, which makes research freely available to anyone, anywhere in the world, fulfills UC’s mission by transmitting knowledge more broadly and facilitating new discoveries that build on the university’s research and scholarly work. This follows UC’s faculty-driven principles on scholarly communication. I fully support our faculty, staff and students in breaking down paywalls that hinder the sharing of groundbreaking research". “This issue does not just impact UC, but also countless scholars, researchers and scientists across the globe — and we stand with them in their push for full, unfettered access.
 La mossa è destinata ad avere ripercussioni non fosse altro che per il segnale forte (che suona come avvertimento) lanciato a chi ha fatto soldi (e tanti) usando il lavoro di altri.

Nota. Qualche settimana prima la Wiley ha sottoscritto con la Germania un accordo che garantisce il libero accesso agli articoli, per università e biblioteche (--> Wiley strikes open access deal with German universities and libraries)

Fonte
-UC terminates subscriptions with world’s largest scientific publisher in push for open access to publicly funded research


- Petizione " The Cost of Knowledge"

***

La parte che segue è indirizzata a coloro che non hanno familiarità con questo mondo e in particolare sul perché la pubblicazione sia lo strumento chiave (anzi spesso l'unico) che il ricercatore ha a disposizione per continuare a lavorare oltre che per farsi riconoscere come autore di una data osservazione.
Tre sono le cose da sapere per contestualizzare la notizia:
  1. La pubblicazione di un articolo di ricerca è il mezzo con cui i ricercatori comunicano i propri risultati, si fanno conoscere e possono legittimare i fondi ricevuti ma soprattutto rafforzare la propria posizione per accedere a quelli futuri. Chiaramente non funziona come con i politici che scrivono un articolo, millantando qualunque cosa, lo passano al direttore del giornale di turno e il giorno dopo questo apparirà senza alcun contraddittorio sul giornale nazionale. Il processo di pubblicazione di un articolo scientifico è lungo, incerto e snervante per i ricercatori. La rivista che lo riceve (che può essere una multidisciplinare come Nature o molto specializzata come Blood) fa una prima scrematura circa l'idoneità tematica e l'interesse potenziale; qualora fosse ritenuto idoneo "per essere valutato" inizierebbe un percorso della durata minima di qualche mese durante il quale l'articolo viene inviato a revisori (in genere tre) esterni, anonimi (per chi ha scritto l'articolo), appartenenti allo stesso campo di ricerca e con competenze in quel settore specifico. La loro valutazione può portare alla richiesta di nuovi esperimenti, alla accettazione o al rifiuto; in base alla summa di pareri l'editore comunica il responso. Se rifiutato in quanto non "adeguato" al livello di quella rivista, l'articolo in genere inizia l'iter con un'altra rivista, più specializzata e/o con barriere di ingresso inferiori. Il ricercatore intelligente deve quindi fare da subito una valutazione sul giornale più adatto al proprio lavoro (per evitare mesi di rimbalzo da una rivista all'altra) tenendo bene a mente che pubblicare su una rivista o l'altra non è uguale
  2. Non è uguale perché ogni rivista ha un "indice di popolarità" diverso. Questo indice, noto come Impact Factor (IF), è un valore che indica la visibilità e l'attendibilità del lavoro pubblicato (indica quante volte articoli apparsi su quella rivista sono stati citati sui lavori successivamente pubblicati da altri ricercatori, anche su altri giornali). Chi riesce a pubblicare su (ad esempio) Nature sa che è il top tra le riviste perché sceglie i lavori più significativi in vari campi scientifici. L'attendibilità è intrinseca perché il processo selettivo è molto duro e i risultati subito sottoposti a verifiche indirette da molti più ricercatori rispetto a chi pubblicasse i propri risultati su una rivista meno consultata. Oltre al IF con il tempo si sono affiancati altri parametri che svolgono più o meno la stessa funzione, cioè "pesare" l'articolo pubblicato (e quindi la solidità degli autori) per il numero di volte che questo è stato successivamente citato. Un numero alto di fianco all'articolo è un viatico per un articolo che è stato inserito nella bibliografia di articoli successivi, indice di affidabilità nel tempo.
  3. La ragione di tutto questo è sia scientifica (valutazione del lavoro da parte di pari, alias peer review) che economica (le risorse sono per definizione scarse e devono essere allocate in modo utile … per quanto questo suoni risibile in Italia dove per cultura tutto deve essere "a pioggia", "per conoscenze" e "per chiara fama"). Tale criterio di valutazione non è perfetto e ha un effetto collaterale: molto del tempo di chi fa ricerca è oramai dedicato al pensiero di pubblicare, alla stesura e all'attesa del responso; se per qualità di articoli pubblicati almeno per numero. Una mera ragione di "sopravvivenza" visto che senza pubblicazioni non si ricevono fondi. Tempo tolto alla ricerca e/o didattica. Per quest'ultimo punto la soluzione adottata da alcuni istituti di ricerca tedeschi (ad esempio i vari Max Planck Institut) è stata quella di farsi carico dell'elargizione dei fondi ai ricercatori che verranno poi valutati ogni 2-5 anni in base ai risultati prodotti: non dovendo preoccuparsi di come ottenere i fondi la loro unica preoccupazione è fare scienza e pubblicare su riviste di alto livello (pochi articoli ma buoni).




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