Virus. Non solo distruttori (di cellule) ma anche "integratore alimentare" per alcuni microrganismi.
Pensiamo alle placide acque di uno stagno in cui abbondano insetti e qualche pesce. Nelle sue acque, generalmente poco invitanti dato l'aspetto non cristallino, è in atto una invisibile ma continua disfida tra i virus e gli organismi unicellulari (batteri e protozoi) dove i primi cercano di trovare l'ospite adatto da usare per riprodursi e i secondi, vittime potenziali, a volte si trasformano da preda in predatori usando gli intrusi come fonte di cibo (una scena che evoca la trasformazione di Pac-man e dei fantasmini).
Per correttezza ricordo che i virus sono in genere altamente selettivi nella definizione di ospite "utile" (permissivo). La cellula bersaglio deve possedere sia recettori adeguati che un macchinario replicativo compatibile con le necessità riproduttive del virus. Ecco perché ad esempio un virus dell'influenza non è in grado di infettare le cellule muscolari dello stesso ospite (quindi geneticamente identiche) o cellule di organismi diversi da quelli abituali. Un batteriofago (virus dei batteri) non potrà fare nulla contro una cellula eucariote e sarà per questa inerte come un granello di sabbia.
Indizi di questa possibile alternanza di ruoli preda-predatore sono stati forniti da John DeLong, ricercatore presso l'università del Nebraska, a cui si deve la scoperta che alcune specie di Halteria, microorganismi ciliati che popolano le acque dolci in tutto il mondo, si nutrono dei clorovirus (virus che infettano le alghe verdi) che condividono il loro habitat acquatico. Una dieta questa per cui è stato coniato il nome virovoria/virivoria, rivelatasi sufficiente, in test di laboratorio, non solo a sostentare il microbo in assenza di altro cibo ma anche a permettergli di riprodursi.
Halteria (credit: Don Loarie) |
L'utilizzo del virus come fonte di cibo può essere visto come una soluzione ecologica per rimettere in circolo parte del carbonio "intrappolato" nelle molecole organiche perse dalle cellule infettate quando "esplodono" durante la fase di rilascio della progenie virale.Un riciclo non indifferente se si pensa a quanti virus ci sono nelle acque (circa 10 milioni in ogni goccia di acqua marina) e a quanti microbi tipo l'Halteria esistono, senza contare quelli con simili capacità non ancora rilevati. Un tassello nel ciclo del carbonio fino ad oggi misconosciuto.
Non pura serendipità la scoperta di DeLong ma il proseguimento di studi iniziati nel 2016 per cercare di comprendere come riuscissero i clorovirus ad entrare in contatto ed infettare le zooclorelle (alghe verdi) che vivono a centinaia in perfetta simbiosi dentro protozoi ciliati come i parameci.
La spiegazione più semplice era che l'infezione delle zooclorelle avvenisse prima del loro ingresso nei parameci oppure durante l'ingestione del cibo (in genere funghi unicellulari) da parte del protozoo.
In alternativa c'erano indizi in letteratura scientifica che indicavano la capacità di alcuni protozoi di rimuovere i virus dalle acque reflue, indicativi di una cattura diretta per quanto mai osservata.
Nessuna informazione era però disponibile sulla ragione di questa attività di cattura di virus e tanto meno sul ruolo negli ecosistemi microbici.
I virus sono fatti di cose buone come gli acidi nucleici, ovvero molto azoto e fosforo. Difficile credere che una sì preziosa fonte di materiale fosse stata dimenticata durante l'evoluzione. "Qualcosa" avrebbe usato questa nicchia dimenticata come fonte di cibo a buon mercato (altamente disponibile).
L'idea venne messa alla prova raccogliendo campioni da uno stagno in modo che ciascuna goccia campione contenesse almeno uno dei tanti microrganismi, fino a rappresentarli in modo più ampio possibile. A ciascun campione vennero poi aggiunte generose "porzioni" di clorovirus (come detto, questi virus sono in grado di infettare solo le alghe verdi e sono innocue per tutti gli altri microbi).
Dopo una incubazione di 24/48 ore si cercarono indizi nelle gocce se (e quali) specie microbi si fossero avvantaggiati della presenza dei virus come degli utile snack: ad esempio monitorando il loro stato vitale e riproduttivi.
Indizio trovato nelle gocce in cui era presente l'Halteria. Qui il numero di clorovirus era diminuito di 100 volte in soli due giorni e le cellule di Halteria (prive di ogni altra fonte di cibo) era cresciuta di 15 volte. Le Halteria nelle gocce di controllo (a cui non erano stati forniti clorovirus) non mostravano alcun aumento.
Indizi suggestivi ma serviva una prova definitiva che indicasse che il virus veniva usato come cibo dai protozoi. A questo scopo il DNA del clorovirus venne marcato con un colorante verde fluorescente prima di essere aggiunto al liquido contenente l'Halteria; poche ore dopo l'aggiunta il vacuolo (l'equivalente ciliato di uno stomaco) divenne verde brillante.
Il dato era ora inequivocabile: non solo i ciliati stavano mangiando il virus ma questi erano una fonte nutritiva sufficiente a sostentarli.
L'analisi della dinamica predatore-preda (declino del clorovirus rispetto alla crescita di Halteria) mostrava che Halteria convertiva il 17% della massa di clorovirus consumata in nuova massa propria; percentuali simili a quelle osservate quando i Parameci si nutrono di batteri o i piccoli crostacei mangiano le alghe.
Quanto sia diffusa la virovoria in natura o se sia essa un escamotage nutritivo da usare in tempi grami è una risposta ancora inevasa ma di importanza fondamentale per comprendere la resilienza delle reti alimentari.
Fonte
- The consumption of viruses returns energy to food chains
JP DeLong, (2022) Proceedings of the National Academy of Sciences
***
(Il libro dell'ecologia - Amazon) |